Ciaùla scopre la luna (Novelle per un anno)

di Luigi Pirandello

Ciaùla scopre la luna (Novelle per un anno) di Luigi Pirandello
Editore: BUR – Biblioteca Universale Rizzoli
Pagine: 514
Genere: Classici/Racconti
Edizione: 2017

Carissimi lettori e gentili lettrici, bentornati! Dedichiamo questo lunedì ad un’opera scelta tra le tante della produzione letteraria di Luigi Pirandello, protagonista della rubrica “Penne d’autore” del mese di Luglio. Scrittore di grande pregio e spessore, è capace di farci entrare nel cuore dei suoi personaggi, tanto realistici quanto intensi e profondamente umani. Pirandello è uno dei padri della letteratura del nostro paese, uomo e narratore che rimarrà per sempre nella storia. 
Oggi iniziamo a parlarvi di lui attraverso una delle tante novelle nate dalla sua vena creativa e a cui mi sento particolarmente legata: “Ciaùla scopre la luna” (Novelle per un anno).

a cura di Mary Manasseri


Sinossi:

Bisogna attraversare il fitto delle novelle e lasciarsene impigliare e graffiare per rendersi conto fino in fondo che “Uno, nessuno e centomila” e i sulfurei incompiuti “Giganti della montagna”, e i “Sei personaggi” stessi, senza il travaglio elaborante della novellistica non avrebbero potuto esistere.” È con queste parole che il curatore Lucio Lugnani, dopo una vita accademica dedicata allo studio di Pirandello, presenta quest’edizione completa e commentata delle novelle pirandelliane: una raccolta unica in Italia, che ripercorre e rilegge in chiave moderna la genesi, le fonti di ispirazione, il contesto culturale ed esperienziale di un corpus di una ricchezza stilistica e tematica senza pari, corredandolo di un apparato di note critiche e bibliografiche aggiornate agli studi più recenti. Questo quarto volume raccoglie le novelle scritte tra il 1910 e il 1913, periodo cardine della creatività pirandelliana, con la scrittura di capolavori come “La patente”, “Pensaci”, “Giacomino!” e “Ciàula scopre la luna”.

Novelle per un anno

Entriamo nel mondo pirandelliano immergendoci nella produzione novellistica di questo autore. Luigi Pirandello scrive nella sua vita circa 250 racconti, nel tentativo di crearne uno per ogni giorno dell’anno. Per questo l’opera che le comprende viene titolata “Novelle per un anno”, pubblicazione suddivisa in diverse raccolte. Il suo primo racconto, La Capannetta, risale all’età adolescenziale… seppure molto ingenuo nella trama e nella struttura, delinea già la genesi del grande narratore che sarebbe diventato.

Egli racconta l’uomo, nelle più svariate sfaccettature, infilandosi tra le pieghe del pensiero e del sentire, valorizzandone non solo le dinamiche di contrasto ma, soprattutto, sottolineandone gli aspetti delle sue spesso grottesche reazioni. I suoi personaggi non sempre hanno un nome, fanno fede per loro gli atteggiamenti tanto eloquenti, che riescono a definirli ancora meglio delle parole. Le ambientazioni sono legate per lo più alla cultura contadina, alla vita in miniera o ai salotti nella società borghese. La Sicilia torna più volte, riportandoci con profumi e paesaggi, alle calde terre del meridione.

Proprio per la ricchezza dei suoi argomenti, tanti sono gli spunti di riflessione che possono nascere dalla lettura dei suoi componimenti: ognuno slegato dall’altro, quasi germogliasse dal bagliore di un pensiero, nel testardo tentativo di mettere in luce fragilità e spigolature, dove spesso è la follia la porta più sicura per fuggire dall’estenuante contraddizione della vita. 

Recensione – “Ciaùla scopre la luna”

Scritta dall’autore nel 1907, lessi questa novella per la prima volta ai tempi della scuola e ancora oggi mi tocca profondamente.

Ciaùla scopre la luna” è un racconto ambientato nelle solfare siciliane, dove gli uomini sono schiavi e lavorano fino allo stremo per guadagnare quanto basta per vivere. È un’esistenza al buio la loro, trascorsa nell’umido delle miniere, immersi nell’odore di terra alla luce fioca delle lanterne. Il capo comanda, schiaccia e svilisce, non parla a uomini ma ai suoi servi, dimenticandone dignità e rispetto.

Zì Scarda è uno di loro.. subisce e lascia che la rabbia del padrone gli si scagli addosso, quasi giustificandolo e con la cosciente scelta di potersi rifare sul suo subordinato: Ciaùla.

Questi è un uomo col pensiero da bambino, accetta mesto il proprio destino, quasi non ne fosse del tutto consapevole. Lascia che Cacciagallina o Zì Scarda lo sottomettano, gli diano ordini o lo umilino, senza ribellarsi né dir nulla.

“Veramente, tra gli aspetti di quei luoghi, strideva quella loro allegria, quella velleità di baldanza giovanile. Nelle dure facce quasi spente dal bujo crudo delle cave sotterranee, nel corpo sfiancato dalla fatica quotidiana, nelle vesti strappate, avevano il livido squallore di quelle terre senza un filo d’erba, sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicai.”

Pirandello descrive con ricchezza di particolari la ruvidezza della realtà che si cela nelle relazioni e nell’ambiente di chi lavora in miniera. L’umiliazione diventa l’arma con la quale i più forti rivendicano il proprio potere, per superbia o per gridare la rabbia nei confronti di un destino avverso e di un dolore subito che ancora stringe l’anima in una morsa. 

Questo è il caso di Zì Scarda, la cui ferita aperta per la morte del figlio urla in uno spasmo e si vendica sulla pelle dei subalterni. In quella lacrima salata che sente scendere sul proprio viso dal suo unico occhio sano, c’è tutto il peso di una perdita che non può e non vuole dimenticare.

“Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d’argento. Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. Sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.”

Ciaùla è il “servo” di Zì Scarda… protagonista di questo componimento, è un anima fragile e sola. Nei suoi vestiti logori e nelle scarne costole c’è tutta la miseria della sua vita. Lavora nella miniera e al buio della notte preferisce quella negli inferi della terra, in cui tutto sommato si sente più protetto. La luce della lanterna rende familiare gli ambienti, cacciando le paure e i propri fantasmi.

È proprio in una notte di luna che qualcosa in lui però cambia. Zì Scarda, umiliato dal padrone, riversa sul suo servo il fastidio per la strigliata subita. Nonostante l’orario di lavoro sia terminato, gli ordina infatti di rientrare nei vestiti da minatore e scendere nella zolfara.

Ciaùla lo guarda quasi rassegnato, poi si riveste e riprende a lavorare. Al tremolare della fiammella, scava e carica, finché con la schiena affaticata dal greve peso, risale la scala per affrontare il tanto temuto buio della notte.

L’intensità di questo racconto sta proprio nel lento incalzare della salita, sentiamo il timore di Ciaùla che, muovendosi lentamente verso l’uscita, si scardina e si libera dalla paura. La luce della luna è una rivelazione che piano piano lo accoglie, il suo stupore intenso afferra il lettore, commuovendolo e riempiendolo della stessa meraviglia che scuote il protagonista.

La lacrima che scende sul viso non è quella addolorata di un padre orfano del figlio, ma piuttosto la forza della verità che si rivela, della scoperta di un mistero finalmente conosciuto.

In quella goccia di pianto c’è un risveglio, una piccola consapevolezza che arriva dal profondo, in cui l’uomo scopre sé e l’immensità dello spazio che lo circonda e che, a dispetto di altro, lo ospita e lo conforta in un abbraccio che non aveva mai sperimentato prima.

“Quando si sentiva l’occhio pieno, posava per un poco il piccone e, guardando la rossa fiammella fumosa, della lanterna confitta nella roccia, che alluciava nella tenebra dell’antro infernale qualche scaglietta di zolfo qua e là, o l’acciajo del paolo o della piccozza, piegava la testa da un lato, stiracchiava il labbro inferiore e stava ad aspettar che la lagrima gli colasse giù, lenta, per il solco scavato dalle precedenti.”

Il linguaggio in questa novella ha vita propria. I suoni si diffondono in echi che vibrano acuti, ruvidi, quasi per farci avvertire il graffio nell’animo dei protagonisti. I gesti delle persone, irruenti e aggressivi o pregni di timore, intimiditi nella propria umana fragilità, si liberano dal confine fisico delle parole che li descrivono, permettendoci così di vederli, esserne toccati e  viverli.

Pirandello usa le parole come un pittore sceglie i colori per impreziosire la propria tela, tonalità che catturano, arrivano, prima che alla mente, al cuore dei lettori, che proprio per la grandezza della sua arte, non smettono di leggerlo e di apprezzarlo, diffondendone la grandezza alle nuove generazioni.

“E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.”

Concludo, consigliando vivamente di immergervi tra le pagine delle novelle di Pirandello, universo in cui spigolature e crepe aprono varchi entro l’animo e il pensiero dell’uomo, permettendo così di conoscerlo meglio nelle sue inevitabili contraddizioni.

In attesa di leggervi e conoscere il vostro pensiero, do a tutti l’arrivederci sul sito delle Penne irriverenti.

Il nostro giudizio:
Trama: Voto 5/5
Stile: Voto 5/5
Piacevolezza: Voto 5/5
Copertina: Voto 4,5/5
Voto finale: Voto 5/5

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello, figlio di genitori borghesi, nacque il 28 giugno 1867 nella terra di Girgenti, che oggi conosciamo come la bellissima città siciliana Agrigento.

Nonostante suo padre avesse progetti diversi in merito alla sua istruzione, Pirandello riuscì a formarsi secondo le proprie inclinazioni, prima a Palermo e Roma e poi all’Università di Bonn, importante centro culturale del tempo. Qui poté approfondire temi letterari e concentrarsi sulla sua grande passione, la filologia romanza. Frequentò così l’ambiente intellettuale tedesco, dove personalità di spicco ne condizionarono e arricchirono la formazione. Pur vivendo a Bonn però, rimase legato affettivamente alla sua Sicilia… ce lo racconta in molte delle sue opere che vi sono ambientate, ripercorrendo con il ricordo nostalgico le storie della sua gente e della sua terra,  tanto ruvida quanto meravigliosa.  

La vita di Pirandello si rivelò nel tempo molto faticosa. Dopo essersi sposato con una conterranea, Maria Antonietta Portulano, la famiglia attraversò un difficile periodo dal punto di vista economico. Un alluvione e una frana distrussero la miniera di zolfo di proprietà del padre, che portò ad un tracollo  finanziario di grande peso per le sorti dell’uomo e dello scrittore. Per rialzarsi dal dissesto economico e familiare tanto grave, iniziò così a scrivere per mantenersi e, successivamente, ad insegnare in una scuola femminile, dal 1897 al 1922.

Difficile fare un escursus sulle sue infinite opere, possiamo però ricordare le più famose. Tra i romanzi “Il fu Mattia Pascal”, “Uno, nessuno e centomila” e “L’esclusa” sono tra i più noti. Tra le novelle, indimenticabili sono “Ciaùla scopre la luna”, “La giara” e “La verità”. Tra i testi teatrali di grande fascino infine, citiamo “L’uomo dal fiore in bocca”, “Liolà”, “Sei personaggi in cerca d’autore” e “Questa sera si recita a soggetto”. Egli vinse il premio per la letteratura nel 1934, e si spense nel 1936 per una grave polmonite.