Curiosità N° 17 – Scrittori che vai, parole che trovi (PRIMA PARTE)

a cura di Pamela Mazzoni

Parole scrittori

Buongiorno e ben ritrovati nella nostra rubrica Curiosando in punta di libri. L’italiano è un idioma complesso, ricco di vocaboli, espressioni e modi di dire…ma vi siete mai chiesti qual è la loro origine? E, soprattutto, chi li ha usati per la prima volta? Ebbene, molti dei termini, diventati poi di uso comune e che noi tuttora utilizziamo nel parlato quotidiano, sono stati coniati dagli scrittori, che non si sono limitati a scrivere storie indimenticabili ma, con particolare estro, hanno contribuito ad arricchire la nostra bella e variegata lingua. Oggi scopriremo alcuni di questi cosiddetti onomaturgi, cioè illustri personaggi che hanno creato neologismi entrati di diritto nel nostro vocabolario. La stessa parola neologismo deriva dal greco, e comprende tutte le nuove parole che hanno arricchito ed ampliato la nostra lingua, a parte le circa duemila derivate direttamente dal latino.

Dante Alighieri

Dante Alighieri

In questo excursus non possiamo esimerci dall’iniziare dal Sommo Poeta, colui il quale, con la sua Divina Commedia scritta non in latino, come d’uopo al tempo, ma in dialetto fiorentino, gettò le basi di quella che sarebbe diventata la moderna lingua italiana. Il suo genio creativo si è spinto oltre l’uso dei vocaboli già esistenti, finanche fossero molti, andando così ad italianizzare vocaboli latini, dando una nuova impronta al loro originario significato, come anche a rafforzare verbi e sostantivi con l’uso di suffissi, in modo tale da far arrivare diritto al lettore il pieno senso di ciò che voleva esprimere: ne sono l’esempio, tra gli altri, i verbi indiarsi (avvicinarsi a Dio), insusarsi (andare in su, innalzarsi) ed anche inurbarsi (trasferirsi dalla campagna alla città). Parole che, se anche si sono perse nell’attuale parlato, hanno però avuto il merito di spianare la strada al metodo, adottato fino ad oggi, di creare verbi quali infiammarsi, impugnare, indorare etc etc… Ma questa estrosa innovazione dantesca ha trovato degno lascito anche in diversi modi di dire:

Stai fresco! – ovveroFinirai male”, che troviamo nel Canto dell’Inferno dedicato al Conte Ugolino della Gherardesca.

Il bel Paese – riferito all’Italia e sempre nello stesso Canto del precedente e che Dante inserisce in una delle sue invettive perché, dopo aver ascoltato la storia del Conte, ne prova compassione e si scaglia contro la città di Pisa, rea della tragica sorte di Ugolino e dei suoi figli.

Senza infamia e senza lode – parole con cui il Sommo si riferisce agli ignavi i quali, non avendo preso posizione in vita nei confronti di Dio, non sono né da Inferno ma tantomeno da Paradiso, quindi collocati nel cosiddetto Antinferno e costretti ad un’eterna attesa.

Non ragioniam di loro, ma guarda e passa – frase che Dante mette in bocca a Virgilio, sempre in relazione agli ignavi.

Non mi tange – in risposta alla domanda di Virgilio sul come possa girare per l’Inferno senza soffrire per tutte le anime dannate che è costretta ad incontrare, Beatrice spiega che è beatificata da Dio a tal punto, da non essere toccata dal male che la circonda.

Cosa fatta capo ha – una frase innocua ai nostri giorni, ma a cui Dante attribuisce un’accezione sinistra, dato che la destina a Mosca dei Lamberti, pronunciando la quale dette il via ad un tragico scontro che portò alla netta divisione tra Guelfi e Ghibellini nella loro Firenze; e proprio per questo condannato all’Inferno ed a portare eternamente su di sé i segni della violenza che le sue parole scatenarono.        

Vogliamo poi parlare di gabbare, cioè “prendersi gioco di qualcuno”, che Dante usa in un’altra sua famosa opera, la Vita Nova; oppure di fertile, utilizzato dal Poeta nel XI Canto del Paradiso per riferirsi al luogo dove nacque San Francesco, definendolo appunto “fertile costa”; ed ancora mesto, usato invece per descrivere il triste stato di dannati.

Non stupisce che sia definito Il Padre della lingua italiana … Dante docet!

Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi

I cosiddetti puristi della lingua italiana sono coloro che non appoggiano i cambiamenti e non amano i neologismi: la lingua italiana dovrebbe essere immutabile. Non sono mai mancati, pronti a combattere le novità linguistiche nelle varie epoche, ma a fronteggiare quelli tra i più agguerriti si ritrovò Giacomo Leopardi che, al contrario di questi, era un grande amante di ogni evoluzione ed innovazione della lingua oltre che appassionato studioso del lessico e delle sue ampie possibilità, tanto che fu piuttosto osteggiato.                          

Ma, fortunatamente per noi e per il nostro idioma, il grande poeta di Recanati aggirò l’ostacolo facendo orecchie da mercante e lasciandoci così in eredità termini quali fratricida, incombere, erompere ed improbo. Molto aperto anche alle contaminazioni di altre lingue (ulteriore orrore per i suddetti puristi), Leopardi coniò anche la parola europeismo, cioè le voci che erano in comune ai vari idiomi d’Europa.

Nel ringraziarvi per l’interesse che sempre ci dimostrate, vi rinnoviamo l’appuntamento al prossimo articolo della rubrica Curiosando in punta di libri.