INTERVISTA a LORENZO BERNARDO autore di “IL TRIPODE DI DELFI”

a cura di Rosa Zenone

Il tripode di Delfi
Il tripode di Delfi di Lorenzo Bernardo

Buongiorno cari lettori, oggi ospite nella nostra rubrica Interviste agli autori abbiamo Lorenzo Bernardo, autore della silloge di poesie Il tripode di Delfi. Incuriosita dalla sua opera, di cui potete leggere la recensione sul nostro blog, non mi sono potuta astenere dal porgli qualche domanda e devo dire che ho ricevuto delle risposte davvero profonde e interessanti. Buona lettura 🙂

Ciao Lorenzo, benvenuto, siamo liete di accoglierti nel nostro blog. Presentati ai nostri lettori, chi è Lorenzo Bernardo nella vita di tutti i giorni?

Devo essere franco, non mi sono mai immaginato all’infuori della mia ragione, quello che so di me e che sono nel quotidiano va ascritto solo alla mediocrità. La mia è una vita volutamente mediocre, normale fino all’esasperazione, in quanto in questa società dove ogni soggetto vuole eccellere e divenire sostanza agli altri, per poi mutarsi in una contingenza nel Nulla assoluto, essere mediocri e quindi nessuno è quanto più nell’accezione monadica ci avvicina a Dio, o almeno al suo concetto posta la sua esistenza ontologica. Il mio rapporto con il mondo è “umbratile”, per usare un termine del Bruno, difatti mi considero un’ombra nella società, anche in un rapporta pragmaticamente empirico che ho con la medesima. L’atto mediocre è quel che sono, è il mio essere ombra; difatti riportando un vecchio adagio che si trova nel “De umbris idearum” di Giordano Bruno, l’uomo è ombra delle Idee, e allora tutto ciò che può fare un uomo in questa terra è solo compiere il suo demone, essere un’ombra, e seppure il mio è un vano tentativo, l’importante è il lavorio.

-Passiamo ora allo scrittore, noi abbiamo avuto il piacere di leggere e recensire la tua raccolta di poesie Il tripode di Delfi, come nasce la sua composizione? Quali sono i suoi motivi ispiratori?

Il costrutto di questa silloge è certamente un “impiastro” in cui un idioma antico propone delle contestualizzazioni moderne, con sparse riscoperte, anche se sovente utilizzate, di una mitologia antica. Il mito greco e romano è un comune accordo tra i suoni degli endecasillabi e dei settenari (i quali sono molto più radi dei primi), ma come nel caso di una proposta poesia come denuncia, o come narrazione di un fatto, la metrica e l’adornamento dell’arcaismo infonde in una tematica moderna, la quale prevederebbe un linguaggio più pragmatico e prosaico, un incedere poetico alfine di rendere epico e nell’epica anche le tematiche che tratte dal loro contesto quotidiano sono scevre dall’ottica della lirica aulica.

-Quali messaggi miri a trasmettere ai tuoi lettori e cosa speri di suscitare in loro?

Quello che penso del messaggio dato al lettore è che ineludibilmente la poesia, in questo differenziandosi dalla prosa e dal saggio, non deve essere scritta ai fini di un accomodamento a chi legge. Posto che la schiera dei miei lettori è molto scarna, il messaggio che si manda in un componimento è certamente esistente, ma questo non deve essere implicato nella lirica per essere letto. Appare come un paradosso, o come quella che in filosofia è chiamata aporia, ma la poesia deve essere certamente scritta con un contento, ma nell’essere composta l’autore deve eliminare dalla sua ottica l’aspetto che vede la ragion logica del suo comporre come accomodamento al lettore. La poesia deve essere non civile, nel senso non che deve essere vuota e informe, ma nella significazione che il contenuto impresso in essa dovrebbe permanere in eterno in potenza nella mente dell’autore, senza mai trascendere in atto nell’occhio del lettore, in quanto quando l’autore e il lettore hanno, per fare una comparazione logica, la stessa mente, la poesia diviene prosa, e un indottrinamento del poeta al lettore farebbe mutare la lirica in un mero saggio.

Il tripode di Delfi è un titolo insolito e poco scontato, come mai questa scelta? La menzione al tripode sul quale sedeva la Pizia, la sacerdotessa di Delfi, è un modo per infondere nei componimenti la sua aura oracolare da interpretare?

Sicuramente è un riparo ad un mio errore. Vede l’eccessivo ermetismo aulico dei testi, e questo lo riconosco, rende inaccessibile la lettura del testo ad un pubblico come quello dei lettori contemporanei, e se pur è vero che come ho spiegato poc’anzi l’autore ed il lettore non dovrebbero tumularsi in una mente medesima, altrimenti la morte della poesia, è pur vero che la poesia deve essere almeno in parte comprensibile. Ovvero la poesia con i suoi adornamenti lessicali deve essere sì da istruzione per il lettore (e sono il primo lettore a voler essere istruito dai testi che leggo), ma è altresì vero che se la poesia non in parte, ma in toto è inaccessibile, allora l’intento poetico dell’autore risulta vano. Vi deve essere un intermezzo tra la vanitas della scrittura aulica ed il contenuto che si vuole imprimere, che come detto non deve assecondare demagogicamente il lettore. Ma un intento di usare gli arcaismi come abbellimento contingente del testo deve rimanere tale, ovvero una contingenza, se l’arcaismo lessicale diviene la sostanza del componimento, questo, diviene unicamente una enciclopedia di arcaismi e di neologismi, e la poesia anche in questo caso perisce. Non nego, e negarlo sarebbe un infantilismo, che la mia silloge è troppo ricercata nell’arcaismo, ma come una palestra che tempra la penna, tale dovrà servire per i prossimi componimenti al fine di far rimanere l’arcaismo una contingenza e non una sostanziale negazione di sé stessa.

– Non solo nel titolo, ma anche nelle poesie sono rinvenibili numerosi riferimenti appartenenti alle civiltà classiche e alla loro mitologia, secondo te a distanza di così tanto tempo mantengono immutata la propria carica vitale e i propri insegnamenti? Se sì perché e in che modo credi possano essere fruiti dall’uomo contemporaneo?

Il mito può essere non un mero accorgimento stilistico solo se compreso nella sua accezione filosofica. La filosofia, o almeno la prima filosofia, antecedente a quella sofista prima e socratica poi, ovvero la filosofia della logica, tale prima filosofia fu l’alveo da dove sarebbe nata la fisica moderna, difatti i primi testi filosofici, basti pensare a quello di Parmenide, erano poemi che chiosavano la natura delle cose. I primi filosofi furono intenti a spiegare i miti secondo il Logos e non la doxa (l’opinione), ma tali pensatori dimenticarono che il mito venne concepito dai poeti antichi come mezzo allegorico per spiegare un significato più ontologico e metafisico, penso al mito di Narciso che ha varie gamme di spiegazioni metafisiche. Se visti oltre il mero senso letterale, il mito è un trattato che non ha nulla da invidiare ai saggi della scuola accademica o peripatetica. Sicché il mito se utilizzato seguendo i canoni del suo valore proprio, quello celato dietro le figure di animali antropomorfi ecc., può risultare ancora un valido sostegno all’acculturamento e alla autodeterminazione culturale del singolo cittadino, alfine di esiliarlo dalla massa come volgare vocabolo politico e scolastico di omologazione del singolo.

-Una caratteristica che risalta subito leggendo i tuoi sonetti e i tuoi canti è il linguaggio, caratterizzato da una folta schiera di arcaismi, oggi ormai completamente in disuso. Com’è nata la tua inclinazione verso tali termini? C’è qualche opera che ti ha tratto in tal senso?

L’uso dell’arcaismo nasce da una voluptas di adornamento del contenuto e del linguaggio poetico. L’arcaismo nasce come monile o armilla alla più splendente delle donne, la Poesia, ed è ovvio precisare che l’arcaismo deve rimanere, ai fini anche della sua declinazione utilitaristica, una contingenza ai fini del componimento. Se pur è vero che secondo la scuola peripatetica araba l’insieme delle contingenze formano la sostanza, e la sostanza è la lirica, potremmo pur dire che l’insieme del complesso aulico formi una sostanziale presa allo sviluppo della poesia; possiamo asserire che in taluni casi la poesia nasce da uno specifico arcaismo. Ma questo, l’arcaismo, deve comunque permanere una contingenza ai lati del contenuto espresso, altrimenti se l’arcaismo diviene un mero fonte di Narciso dove il poeta si piace, il contenuto viene a decadere, e l’espressione poetica muore, perendo la sostanzialità della poesia, che è non il contingente arcaismo, ma la necessaria, riferendoci al Necessario avicenniano differente dal suo Possibile, dicevo la necessaria sostanziale contenutistica.

-Cos’è per te la poesia?

Quella che io chiamo poesia è l’idioma della letteratura. Per come si è sviluppata la cultura, sia popolare che letteraria, italiana, possiamo dire che l’Italia ha avuto almeno fino ad un secolo fa due lingue: una lingua poetica ed una lingua prosaica. Il modo del nostro linguaggio, quell’idioma che usiamo nel parlare è di natura peculiarmente prosaica, mentre vi è stata, ora in disuso, una lingua poetica nelle lettere. Oggi possiamo dire che anche la poesia usa un linguaggio prosaico, decaduto nella maggior parte dei componimenti la derivazione latina della posizione del vocabolo nel testo, l’arcaismo anche se minimo, e la musica che è la metrica. Quel che io penso è che sarebbe mirabile cosa se si usasse la lingua poetica per ogni forma della letteratura, non solo per la poesia, ma anche per la prosa e per il saggio. Eppure oggi la lingua prosaica è imperante, questa si implica anche nei testi poetici, rendendoli scabri e avulsi da ogni notabile musicalità tipica della poesia.

-La tua poesia si distacca fortemente dai modelli attuali, non solo per il lessico ma anche per quanto concerne la struttura metrica, poiché molto spesso quest’ultima risulta quasi del tutto assente giungendo quanto più ad assimilare i versi alla prosa. Cosa pensi di tale tendenza? Trovi improprio in certi casi la denominazione di poesia?

Partiamo da un assunto: la poesia è mendace, ed in questo è un riflesso della realtà. La realtà è una vana rappresentazione del nostro inconscio. L’unico rimedio per rendere la realtà come atto sensibile è implicare delle leggi alfine di mutare un Caos informe in una polis dove abitare. Ora, ritornando alla poesia che assimilo alla realtà, l’unico modo di mascherare la mendacità che le è propria è la legge, e la legge è la metrica. L’endecasillabo e il settenario, imperanti nella nostra letteratura, non dovrebbero essere un anticato modo di studio delle vecchie lettere, ma dovrebbero essere un calco su cui formare anche i componimenti venturi agli antichi testi, altrimenti la poetica contemporanea, come asserito poc’anzi, diviene prosa, e perisce la sua sostanzialità musicale.

-Secondo diverse statistiche oggigiorno pochissime persone comprano e leggono libri di poesie, secondo te perché?

Sicuramente perché ogni uomo è figlio del suo tempo, ed è difficile un proprio anacronismo. La lettura dell’uomo moderno prevede una fascinazione per il male, e un uso di questa fruibile. La poesia tende a narrare i fatti da un occhio lontano da quello di un soggettivismo assoluto, la poesia in questo, ed il poeta, è un nume oggettivo. Ma il lettore vuole la doxa, vuole l’opinione, vuole vedere schierato ogni soggetto, e odia uno schieramento avverso alle proprie idee, pretende che il poeta, il romanziere, o il politico, abbiano idee riflesse alle sue, altrimenti è un nemico della nazione, di Dio o di qualsiasi sovrastruttura a cui egli appartiene. Allora la poesia, come rifugio dell’uomo dall’imperante soggettivismo omologante, diviene inutile al lettore. Sarebbe molto più facile da leggere di un saggio filosofico o di un romanzo, ma come asserivo, l’oggettivismo poetico è contrario alla natura dell’uomo moderno.

Quali consigli daresti a un poeta che vuole esordire?

Certamente di leggere i classici, e di leggere folti nugoli di libri, a volte anche una certa prosa è istruttiva alla poetica. Leggere Virgilio, Omero, Lucrezio od Ovidio, non è un vano passatempo, ma è un esercizio in potenza alla situazione di atto scrivente.

-La tua produzione annovera già diverse opere, hai nuovi progetti in cantiere per il futuro?

Per quel che riguarda l’immediato ho mandato a diverse case editrici una mia nuova silloge, che dovrebbe chiamarsi “La Musogamia”.

Per concludere passiamo al Lorenzo Bernardo lettore: quali libri ci consiglieresti di leggere? Potresti indicarci un titolo di poesia e uno di prosa scegliendo tra quelli che hai più amato?

Un libro di poesia che amo è un poema fin troppo poco conosciuto per il valore dello stile e del contenuto, e parlo del “Lucifero” di Mario Rapisardi. Per quanto concerne la prosa il libro che più ho amato è “Il Fuoco” di Gabriele D’Annunzio, una prosa aulica, tipica del D’annunzio, dove la lingua è portata alle massime vette stilistiche, e filosofia implicata nel narrare si intrecciano in un libro dell’antologia dannunziana di primissimo ordine.

Lorenzo ti salutiamo e ti ringraziamo per esserti prestato alle nostre domande, speriamo di riaverti presto tra noi. Un grande in bocca al lupo da parte di tutte le Penne Irriverenti