LA DIETA

di Aldo Fabrizi

Cari Amici Lettori,
Benvenuti al nostro appuntamento con la poesia.
Oggi abbiamo scelto di parlavi di “La Dieta” di Aldo Fabrizi.
Buona lettura!

a cura di Elisa Mazza

La Dieta

Doppo che ho rinnegato pasta e pane,
so’ dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure…
me pare ‘n anno e so’ du’ settimane.

Nemmanco dormo più, le notti sane,
pe’ damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immagina’ le svojature
co’ la lingua de fòra come un cane.

Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da ‘na tavola e ‘na sedia
pensanno che se deve da morì?

Nun è pe’ fa’ er fanatico romano;
però de fronte a ‘sto campa’ d’inedia,
mejo morì co’ la forchetta in mano!

Parafrasi della poesia La Dieta

Dopo che ho rinnegato pasta e pane, sono dieci giorni che non perdo peso, eppure resisto, soffro e continuo le cure… sembra passato un anno invece che due settimane.
Nemmeno dormo più notti tranquille, per darmi sollievo alle torture, le passo a immaginare le leccornie con la lingua di fuori come un cane.
Ma vale la pena soffrire lontano da una tavola e la sedia pensando che si deve poi morire? Non è per fare il fanatico romano; però di fronte a questa vita d’inedia e privazioni, meglio morire con la forchetta in mano!

Commento della poesia La Dieta

Cari miei seguaci della lettura, oggi richiamo a me anche le buone forchette o chi semplicemente ama vivere la vita con piacere e senza troppi sensi di colpa!
Aldo Fabrizi fu un gran attore certo, una personalità sensibile che viaggiava dal comico al saggio e infine al drammatico con una grazia eccelsa, ma qui vado celebrando il suo lato romanesco conviviale, casereccio e persino familiare. Nella mia mente (visto l’età e carattere) è sempre stato associato al mio amatissimo nonno dai capelli neri Silvano, mangiatore incallito di spaghetti rossi di ragù, puntualmente arricchiti da una cascata di bianco parmigiano.
Già ho la lacrima facile che trema tra le ciglia.
Mi mancherà sempre tanto, specie in questo periodo in cui ci si preparava per il mitico pranzo di Natale e appunto ci si doveva trattenere un po’ per poi dar il meglio a tavola con tutto il parentado. Lui odiava le diete quanto me, ma essendo entrambi toccati da una sorte clinica avversa, siamo stati costretti malvolentieri a lottare contro le infide provocazioni di latticini e carboidrati.
Come Aldo e la sua verace poesia nonché riflessione di un certo spirito filosofico, proclamiamo tutti insieme la nostra ribellione: la vita ci tempra con mille sfide e sacrifici, ci rende forti a suon di dolore e spesso ci fa dimenticare i veri attimi in cui si ha un po’ di respiro. Ebbene si, sono quelli di quando soddisfiamo i nostri bisogni primari come mangiare e bere, di quando passiamo momenti in compagnia di chi ci sostiene o ci compensa come mamma e il suo arrosto, o il mattino con sveglia e caffè.
In quest’epoca dove lo stile di vita slow e il mangiare sano è strillato ad alta voce, ma poi i ritmi di lavoro ci consentono tuttalpiù di ingurgitare un panino al volo con una coca dietro a digerire, voglio ricordare a voi tutti Aldo Fabrizi e il suo innato talento d’artista e di uomo vitale, al comunicarci di vivere fortissimo, regalarci sorrisi e piacere perché la fine e le lacrime tanto ci toccano lo stesso.. allora divertiamoci, godiamocela e si ..“mejo morì co’ la forchetta in mano!”.

Aldo Fabrizi

Attore e regista italiano. Affermatosi nel varietà tra il 1931 e il 1940, esordisce nel cinema come attore comico nel 1942 con Avanti c’è posto… di M. Bonnard, portando sugli schermi il personaggio del tranviere che lo aveva reso famoso nel teatro di rivista (e che riprenderà come regista in Hanno rubato un tram, 1954). Tuttavia è con Roma città aperta (1945) di R. Rossellini che offre la sua interpretazione più celebre: nei panni di un parroco di quartiere che protegge i partigiani rivela notevoli doti di attore drammatico, che gli garantiranno altri ruoli nell’ambito del neorealismo (Prima comunione, 1950, di A. Blasetti; Francesco giullare di Dio, 1950, di R. Rossellini). Nel dopoguerra alterna l’attività cinematografica a quella teatrale e di rivista, impersonando un tipo bonariamente cinico, ironico e remissivo. Esordisce nella regia con Emigrantes (1949), film sugli immigrati italiani in Argentina, cui seguono La famiglia Passaguai (1951), esilarante commedia di costume ambientata al lido di Ostia, La famiglia Passaguai fa fortuna (1952) e Papà diventa mamma (1952), che conclude la trilogia e in cui F. offre un’eccellente prova di travestitismo. In Una di quelle (1953) dirige Totò e P. De Filippo alle prese con una povera vedova, che inizialmente credono una donna dai facili costumi. Il maestro (1958), infine, è una pellicola dai toni popolareschi che virano inaspettatamente al mistico. Come attore resta memorabile l’interpretazione di Guardie e ladri (1951) di Steno e M. Monicelli, in cui insegue affannosamente il ladro Totò. Da non dimenticare le prove più tarde in La Tosca (1973) di L. Magni e C’eravamo tanto amati (1974) di E. Scola. La capacità di alternare toni commoventi e comici, miscelando abilmente commedia e melodramma, caratterizza i suoi film sia come attore sia come regista.