LA NEVE

di Marino Moretti

Cari Amici Lettori,
Benvenuti al nostro appuntamento con la poesia.
Oggi abbiamo scelto di parlavi di “La Neve” di Marino Moretti.
Buona lettura!

a cura di Elisa Mazza

La Neve

Il bimbo guarda alla finestra i fiocchi
taciti, ch’empion turbinando l’aria,
guarda la strada bianca e solitaria,
che non ha che un ombrello e due marmocchi.

E guarda la casina dirimpetto,
che è agghiacciata dal vento e dalla bruma,
ma che pur nel silenzio freddo fuma
con la pipa del suo comignoletto.

Sorride il bimbo nel suo caldo covo,
ed è stupito perché i fiocchi, a un tratto,
d’un paesello nero e vecchio han fatto
un paesello tutto bianco e nuovo.

Parafrasi della poesia La Neve

Un bambino guarda dalla finestra i fiocchi di neve, silenziosi, che cadono verso terra riempiendo e turbinando nell’aria, osserva anche la strada ormai imbiancata e vuota, tranne che per due ragazzini sotto ad un ombrello.
Guarda la casa minuscola dirimpetto, che è ghiacciata dal vento e dalla bruma, ma che silenziosamente, nel freddo, fuma come una pipa dal piccolo comignolo del camino.
Sorride il bambino dal suo cantuccio caldo, ed è stupito perché i fiocchi, tutt’a un tratto, hanno trasformato un paese nero e vecchio in un paesello tutto bianco e nuovo.

Commento della poesia La Neve

Cari lettori, ben trovati! Vi chiederete perché trovo fascinosa questa poesiola di Marino Moretti: la verità è proprio perché è una filastrocca infantile, e il suo messaggio all’apparenza incantato e puerile è sottile, autentico e profondo. In effetti si potrebbe interpretare in più modi: la soluzione più diretta è con uno spirito fanciullesco e giocoso.
Con le feste natalizie, il freddo, la vita “forzatamente ritirata” ho riscoperto il piacere semplicistico di essere pigra, rilassata, e una finestraia per eccellenza, in quanto mi piace tanto osservare l’ambiente, le persone, insomma il tutto attorno a me.
Ma ecco la seconda: riaffiora in agguato l’impotenza davanti allo scorrere del tempo. Per compensare, sento il “bisogno di parare il colpo” e vado (come il bimbo nel suo caldo covo) cercando nuovi punti di vista .
La Neve è una piccola perla del filone del crepuscolarismo di cui il poeta faceva parte, dove i tipici diminutivi dal sapore malinconico, il contrasto tra la semplicità del quotidiano che va a cozzare con la spietata caducità dell’essere, riempiono il testo connotandolo, rendendolo stranamente innocente ma affilato come un rasoio.
Essendo un mio conterraneo, ricordo da ragazzina la visita alla sua casa di Cesenatico, dove Marino Moretti scriveva e riscriveva, spesso correggendo ossessivamente persino sopra i suoi testi già pubblicati (per alcuni appassionati lettori la sua grossolana incuria dei libri sarebbe stata una spada in petto). Quelle pagine ormai sbiadite, strappate e corrette più volte a penna, me l’han fatto caro per il suo fermento/tormento interiore, la sua voglia inarrestabile di comunicare, disperata. Quella che anima anche me, e attraversa il mio vagare su questo suolo terrestre con una valigia di parole dentro una penna un po’ bislacca.
Un appunto, per quanto anch’io tendi alla malinconia, sono per mia fortuna assai più positiva e sognatrice: per me vivere è si faticoso, anche destabilizzate (quindi spesso cado in un letargo difensivo o peggio in un uragano aggressivo), ma anche un viaggio a cui non rinuncerei mai per le tante ricchezze che elargisce, come la famiglia, le stagioni, la scoperta di sé.
Non ci si deve mai arrendere. Piuttosto ricordiamoci di sostare, magari con una tazza di the caldo, ad osservare dalla finestra la neve candida: e poi ricominciamo a respirare la felicità di esistere.

Marino Moretti

(Cesenatico 1885-1979) poeta e narratore italiano. Abbandonò gli studi classici per seguire a Firenze un corso di arte drammatica; ma interruppe anche questo per dedicarsi interamente alla letteratura. Nelle sue prime raccolte di versi, Fraternità (1905) e soprattutto Poesie scritte col lapis (1910), è evidente l’impronta di Pascoli e di poeti come A. Samain e F. Jammes, per lo stabilirsi di quel tono «crepuscolare» – secondo la definizione attribuitagli da G.A. Borgese – che si ritroverà anche nella sua narrativa. Vicende semplici ambientate in un angusto mondo provinciale popolato da personaggi spenti e rinunciatari, rese in uno stile dimesso ma illuminato da lampi di personale umorismo, caratterizzano i suoi numerosi romanzi e racconti. Tra i più noti: La voce di Dio (1920), I puri di cuore (1923), La vedova Fioravanti (1941), Il fiocco verde (1948), La camera degli sposi (1958). Negli ultimi anni M. è ritornato alla poesia con L’ultima estate (1968), Tre anni e un giorno (1971), Le poverazze (1973).