L’AGNESE VA A MORIRE

di Renata Viganò

L'Agnese va a morire

L’Agnese va a morire di Renata Viganò
Genere: Romanzo storico
Editore: Einaudi ( Collana Einaudi tascabili. Scrittori )
Pagine: 250
Edizione:  19 maggio 2014

a cura di Rosa Zenone

Sinossi

“L’Agnese va a morire è una delle opere letterarie più limpide e convincenti che siano uscite dall’esperienza storica e umana della Resistenza. Un documento prezioso per far capire che cosa è stata la Resistenza […].Più esamino la struttura letteraria di questo romanzo e più la trovo straordinaria. Tutto è sorretto e animato da un’unica volontà, da un’unica presenza, da un unico personaggio […]. Si ha la sensazione, leggendo, che le Valli di Comacchio, la Romagna, la guerra lontana degli eserciti a poco a poco si riempiano della presenza sempre più grande, titanica di questa donna. Come se tedeschi e alleati fossero presenze sfocate di un dramma fuori del tempo e tutto si compisse invece all’interno di Agnese, come se lei sola potesse sobbarcarsi il peso, anzi la fatica della guerra […].” (Sebastiano Vassalli)

Recensione

Il romanzo comincia nel mese di settembre, quando l’armistizio è stato firmato e la notizia è stata annunciata alla radio, quando la guerra dovrebbe essere ormai finita.

– Io credo che i guai peggiori siano ancora da passare, – disse improvvisamente, con la rassegnata incredulità dei poveri.

L’ingresso della protagonista è sancito da questa frase, saggia quanto veritiera, un’amara consapevolezza derivante dalla propria natura popolare e da un’esistenza greve. Agnese infatti è questo, una semplice lavandaia matura di età e dal carattere duro e severo, estremamente pragmatica e non ignara delle brutture della vita.

Poi era la prima notte, da quando, con lo stesso gesto violento, aveva spaccato la testa al tedesco e diviso in due la sua vita. La prima parte, la più semplice, la più lunga, la più comprensibile, era ormai di là da una barriera, finita, conclusa. Là c’era stato Palita, e poi la casa, il lavoro, le cose di tutti i giorni, ripetute per quasi cinquant’anni: qui cominciava adesso, e certo era la parte più breve; di essa non sapeva che questo.

La vita ordinaria di Agnese cambia improvvisamente in seguito alla deportazione dell’amato marito Palita, un evento che ha forte risonanza sulla donna e ce ne mostra le corde più deboli, in modo tanto più commovente quanto trattenuto e poco incline alla smanceria, in un modo conforme alla protagonista. Da lì ella continua i contatti del coniuge con i “compagni” e comincia a partecipare al movimento della Resistenza, pur essendo completamente a digiuno di politica. 

Agnese è priva degli idealismi che animavano Palita, la sua adesione ai partigiani è istintiva, è come una sorta di “chiamata”, quasi un voler perseguire il sentiero tracciato dal marito. D’altronde per l’intero romanzo Palita ha un ruolo “guida” comparendo nei suoi sogni e indirizzandola su quella che è la giusta strada.

Percorreva la stessa strada di quella volta che aveva portato il tritolo per il ponte, ed era già passato quasi un anno. Lavoro, paura, e morti. Allora lei era più forte nel corpo e più tarda a capire: adesso il cervello le si era fatto pronto, ma il corpo s’indeboliva.

La sua partecipazione alla Resistenza però metterà in atto un processo sulla stessa, un passaggio da uno stato materiale- fisico e incosciente a uno cosciente e razionale. Talvolta Agnese potrà sembrare un personaggio poco comprensibile nel suo essere delineato in pochi tratti, ma in realtà la si impara a conoscere e a coglierne i pensieri, gli stati d’animi e i cambiamenti in poche battute.  Pian piano il suo personaggio si afferma e ce ne si innamora, umile e semplice quanto intraprendente ed energica.

Ciò che più colpisce è il suo essere protagonista al di fuori di ogni topos, ha un modo del tutto personale di essere un’eroina senza necessità di calcarvi troppo la mano nel delinearne le virtù. Agnese semplicemente è.

Trattata altrettanto è la tematica della Resistenza, esaltata senza edulcorazioni e corposi panegirici. La Viganò ci cala in mezzo ai partigiani, ce ne fa cogliere alcuni tratti e alcune vicende, senza mai porli in un alone di adulazione. Anche laddove si sofferma nell’esaltarne le virtù, come nel caso del Comandante, non avviene mai in modo iperbolico.  L’autrice più che soffermarsi sui dialoghi si sofferma in modo minuzioso sulle azioni, ci mostra la Resistenza e ciò è sufficiente per suscitare in noi profonda ammirazione nei confronti di tutti coloro che vi parteciparono mettendo a repentaglio la propria vita per un ideale di libertà, una libertà che stentava a giungere

Un giorno, a un tratto, la libertà si fermò. Non aveva più voglia di camminare. Se ne infischiava di quelli che l’aspettavano, mancava all’appuntamento senza un motivo, come fanno gli innamorati già un po’ stanchi.

Il romanzo risulta essere principalmente descrittivo di una vita precaria e in bilico, dove un equilibrio sbagliato spinge direttamente in pasto ai tedeschi e tra le spire della morte. Si percepisce tutto il rischio delle azioni partigiane e la paura che doveva derivarne, si è partecipi dei loro movimenti e si sente il fiato sul collo, numerose sono le scene di forte pathos.

I tedeschi erano SS e paracadutisti Goering, avevano le mitragliatrici pesanti, i lanciafiamme, l’artiglieria, le armi automatiche. Erano molti, pareva che uscissero dalla terra, tanto si moltiplicavano le loro facce grige, inespressive e feroci, tanto si allungavano le loro file rigide, come fatte di legno: uomini di legno, e pareva impossibile che avessero dietro di loro un’infanzia, una casa, un paese dove erano nati. Sembravano creati così, adulti, armati, a serie, a reggimenti, pronti per fare la guerra.

I tedeschi sono presentati come macchine da guerra, quasi inumani, quali portatori di immane distruzione. Si susseguono numerose vicende in cui padroneggia la loro spietatezza e i loro soprusi, e tutto ciò che di negativo la guerra è capace di tirare fuori dall’uomo. Particolarmente suggestivo è il fragore descritto dalla presenza dei tedeschi, sembra di udirlo e comporta davvero la pelle d’oca. Oltre ai tedeschi e ai partigiani vi è la popolazione, molto spesso incapace di capire e votata alla delazione e all’assoggettamento in quanto completamente soggiogata dalla paura. Ne deriva un’atmosfera desolata, disseminata di pericoli e di diffidenza, un’immagine di guerra impressa a caldo.

La prosa è scarna e asciutta, non vi è mai sovrabbondanza ma non si può dire carente, è come se le scene fossero fotografate, rispondendo così perfettamente alla corrente neorealista di quegli anni. Non vi è spazio per la retorica, poche e semplici parole ma incisive. La focalizzazione narrativa oscilla tra esterna e quella interna di Agnese, in entrambi i casi il narratore è eclissato e non si lascia andare a commenti, lascia che siano i fatti a parlare e a trasmettere.

I passaggi del romanzo dove la penna della Viganò si lascia più andare sono quelli descrittivi, non solo quelli incentrati sulle azioni ma anche quelli scenografici, in particolare inerenti l’ambiente naturale donandoci degli scorci mirabili.

Andavano con le barche dentro il canale verde, viscido come una lumaca. Ai lati le canne erano alte, ma non facevano ombra: il sole passava fra i gambi diritti, nudi, come da un’inferriata, e bruciava sull’acqua, sulle erbe a galla che parevano bisce morte.

La natura che convive in forte compenetrazione con i partigiani è presentata nella doppia veste di complice ma anche di nemica, talvolta personificata nei propri tratti, assumendo di volta in volta caratteristiche rassicuranti o mortifere.

L’Agnese va a morire è un romanzo non solo in grado di tramandare la memoria di quel periodo, ma di renderla trascendentale e di farla scorrere fino alla mente e al cuore di qualunque lettore, al di là di quanto tempo lo separi dagli anni della Resistenza.

L’Agnese, seppure va a morire, è immortale e senza tempo.

Noi non finiamo, – assicurò l’Agnese. – Siamo troppi. Più ne muore e più ne viene. Più ne muore e più ci si fa coraggio. Invece i tedeschi e i fascisti, quelli che muoiono si portano via anche i vivi.

Il nostro giudizio:

Trama Voto 5

Stile Voto 5

Piacevolezza Voto 5

Copertina Voto 5

Voto finale Voto 5

REnata viganò

Renata Viganò (Bologna, 17 giugno 1900 – Bologna, 23 aprile 1976) è stata una scrittrice e partigiana italiana.Scrittrice precoce a soli 13 anni riuscì a far pubblicare, nel 1913, la sua prima raccolta di poesie, Ginestra in fiore, e nel 1916 Piccola Fiamma, ma raggiunse una certa notorietà solamente nel 1949 con L’Agnese va a morire, romanzo d’impianto neorealistico tra i più intensi della narrativa ispirata alla resistenza.