L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO

di Oscar Wilde

a cura di Samantha Ambroggi

L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde
Genere: Commedia teatrale / Classico
Editore: Rusconi Libri
Pagine: 83
Edizione: gennaio 2019

Buongiorno lettori! Eccoci ritrovati per la quarta recensione dedicata ad Oscar Wilde, protagonista della nostra prima scheda autore. Sono lieta di proporvi la sua più famosa commedia teatrale: “L’ importanza di chiamarsi Ernesto”.
Buona lettura!

Sinossi

Nel mondo dell’upper class britannica, l’aristocratica Guendalina manifesta la sua predilezione per il nome Ernesto e il giovane Giovanni Worthing (Nino) ha assunto tale nome allo scopo di farle la corte, inventandosi pure un fratello scapestrato, impersonato dall’amico Algernon che ama a sua volta la piccola Cecilia e che approfitta dell’inganno escogitato dal primo per starle accanto. Riusciranno i due a fare breccia nei cuori delle loro predilette?

Recensione

Antecedente ad “Un marito ideale” di cui abbiamo già parlato, questa commedia in tre atti è stata scritta tra il 1894 e il 1895, e fu rappresentata per la prima volta il 14 febbraio 1895.
La vicenda si snoda in maniera quanto mai ironica e briosa, attaccando con stile le convenzioni e l’ipocrisia dell’alta società. Wilde stesso definisce “L’importanza di chiamarsi Ernesto” una “Commedia frivola per gente seria”.

L’azione del primo atto si svolge a Londra, nel salotto di Algernon Moncrieff.
Giovanni Worthing e Algernon sono due amici che hanno una particolarità in comune: entrambi si sono inventati l’uno un fratello e l’altro un amico immaginario, da utilizzare come scusa quando hanno bisogno di cambiare aria e sfuggire alla noia.
Nino, che in città si fa chiamare Ernesto, si presenta inaspettatamente a casa dell’amico con uno scopo ben preciso: chiedere la mano di sua cugina Guendalina, della quale è segretamente innamorato.
Essendo a conoscenza del sotterfugio di Nino per quanto riguarda lo scambio dei nomi, Algernon non si dimostra molto contento dell’intenzione dell’amico verso la cugina e cerca quindi di fagli cambiare idea.

“Veramente non so vedere cosa ci sia di poetico in una domanda di matrimonio. È molto romantico essere innamorati, ma non c’è niente di romantico in una richiesta formale. Diamine! C’è il caso di venire accettati. Anzi, di solito lo è. E allora l’esaltazione svanisce. L’intima essenza del romantico è l’incertezza. Se mai mi sposassi, vorrei fare di tutto per dimenticarmene”.

Guendalina invece accetta subito di sposarlo e gli confida che non avrebbe mai potuto farlo se lui avesse avuto un altro nome (si è presentato a lei come Ernesto).

“Dal momento in cui Algernon mi disse di avere un amico che si chiamava Ernesto, ho sentito d’essere destinata ad amarvi. È un nome ideale. Ha una musica tutta sua. Ti fa vibrare”.

Purtroppo la madre di Guendalina lo rifiuta come pretendente, in quanto orfano senza passato. I giovani non si arrendono. Ernesto (Nino) riparte per la campagna con la promessa di tornare presto da Guendalina.

Nel secondo atto Algernon parte per recarsi alla casa di campagna dell’amico. Qui conosce finalmente Cecilia, la ragazza diciottenne della quale Nino è il tutore e si spaccia per il fratello di lui… Ernesto.
Algernon si innamora di lei a prima visita e le chiede subito di sposarlo, nonostante la sua avversione per il matrimonio. E come potrebbe lei non accettare avendo davanti un uomo che crede chiamarsi veramente Ernesto?

“Non devi ridere di me, caro, ma è sempre stato un mio sogno di fanciulla quello di amare uno che si chiamasse Ernesto. C’è qualche cosa in questo nome che sembra ispirare assoluta fiducia. Compiango le povere mogli il cui marito non si chiama Ernesto”.

Nel frattempo anche Guendalina decidere di raggiungere l’amato e quando le due donne si ritroveranno faccia a faccia, avrà inizio il malinteso che porta al momento clou della commedia.
Cosa succederà quando esse chiederanno loro delle spiegazioni?
E i due riusciranno a farsi perdonare dalle loro amate?


Nel terzo atto i nodi si scioglieranno e il finale vi riserverà anche un’inaspettata sorpresa.


Lo stile raffinato e ironico di Wilde nello sbeffeggiare la pudica e ipocrita nobiltà inglese è impareggiabile, ed è per questo che è stato un autore molto discusso nella sua epoca.
Soprattutto in questa narrazione egli riuscì ad evidenziare l’importanza dell’apparenza e della forma, scegliendo non a caso il nome Ernesto. Infatti nella lingua inglese “Earnest” ha significato di “onesto” e pronunciandosi allo stesso modo sia l’aggettivo che il nome proprio, ha dato agio a Wilde di poter giocare a piacimento con i due termini.
Tutto ciò ha fatto di quest’opera un successo tanto che ancora oggi viene rappresentata sui palcoscenici, nonché sul grande schermo.
La prima versione cinematografica è del 1952 e diretta dal regista britannico Anthony Asquith, per la prima volta alle prese con il colore e suddivisa in più scene ambientate in diversi luoghi. Qui vale la pena di sottolineare una piccola curiosità. Ebbene, il suddetto regista sapete chi era?
Era nientemeno che il figlio del ministro Herbert Henry Asquith, colui che mandò in prigione Wilde con l’accusa di immoralità.
La versione più moderna è invece quella di Oliver Parker del 2002.
Con le sue commedie, con i suoi romanzi e le sue poesie… Wilde ne è uscito vincitore.
Ha vinto sulla società che voleva sbarazzarsi di lui, ha vinto sul ministro che l’ha mandato in galera, ma soprattutto ha vinto sul passare del tempo perché a distanza di più di cent’anni, è ancora oggi uno tra gli scrittori più amati ed apprezzati.
E le sue opere non finiranno mai di emozionare.

Il nostro giudizio:


TramaVoto 5


StileVoto 5


PiacevolezzaVoto 5