NATALE

di Giuseppe Ungaretti

Benvenuti al nostro appuntamento con la poesia.
Oggi proponiamo il commento della poesia Natale ” di Giuseppe Ungaretti
Buona Lettura!



a cura di Elisa Mazza

Natale

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade


Ho tanta
stanchezza
sulle spalle


Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata


Qui
non si sente
altro
che il caldo buono


Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

Parafrasi della poesia: Natale

Non voglio immergermi in un labirinto di strade caotiche, ho tanta stanchezza sulle mie spalle.
Lasciatemi stare come si fa con un oggetto posato in un angolo e dimenticato.
Dentro casa si sente solamente un calore sicuro, confortevole.
Sto con le fugaci volute di fumo provocate dal fuoco nel camino.

Commento della poesia: Natale

Amici lettori, questa volta non so se sarò accolta con favore per la mia scelta, ma Natale di Giuseppe Ungaretti mi è sembrato un ottimo trampolino di lancio per dire quello che mi sale in gola in quest’ultimi giorni.
Se speravate nel mio solito entusiasmo, beh scusatemi, ma per dirla come Aragorn in “Il Ritorno del Re”, non è questo il giorno.
Natale è stata scritta durante la prima guerra mondiale, mentre il poeta era in licenza da amici a Napoli.
Era estenuato, schiacciato dall’indicibile orrore che è la guerra, chiedeva solo la pace, l’abbandono, l’anestetica e rassicurante sensazione del nulla.
Le festività non lo toccano, l’insofferenza è altissima quanto la paura, il dolore.
Non c’è nulla di umano o buono o speranzoso in questi versi, ma mai come oggi mi sembra che Tutti, ne abbiano bisogno. Ne abbiamo bisogno… ne ho bisogno.
Questa poesia ermetica, senza punteggiatura, quasi stentata nello svolgersi delle strofe, ci chiarisce distintamente il bisogno di tregua, la ricerca di una pace scomparsa.
Il poeta si è scontrato con la realtà più amara: la Guerra, ha provocato il totale abbandono di ogni forma di umanità, una regressione cattiva dove ognuno è nemico dell’altro e ciò che succede è sempre sotto una luce sinistra di diffidenza.
Questa sintesi non vi dice niente?
Per fortuna non stiamo certo sentendo il morso della Guerra ma un altro più insidioso, è ormai anni che ci tiene sotto scacco: la Malattia, che con sé ha portato l’intolleranza, il dubbio.
Non sono qui per prendere posizione e partire con un sermone, me ne guardo bene.
Ma mi sento di ricordare che in un momento buio come questo non è il caso di fare troppo rumore, occorre sempre usare il cervello.
Non possiamo smettere di vivere nascondendoci, ma possiamo sicuramente smettere di litigare.
Ho quindi selezionato la poesia Natale come monito: basta! Basta! BASTA!
Se è vero che occorre il buio per far brillare la luce, Ungaretti in realtà voleva trasmetterci non tanto l’angoscia quanto che la disperata speranza nella rinascita dell’uomo; è la solidarietà e la fratellanza che voleva davvero ispirare.
Spero di avervi scosso con le mie parole, persino infastidito, mi andrebbe bene uguale.
Ma ascoltatemi, vi giuro, a volte non vi è più bel dire che il silenzio.
Ci occorre solo e soltanto un po’ di tregua.

Giuseppe Ungaretti

LA VITA E LE OPERE. Figlio di genitori lucchesi, trascorse in Africa gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Determinante fu il soggiorno a Parigi, dove U. si trasferì nel 1912 e dove frequentò alcuni dei personaggi più notevoli della cultura francese (Apollinaire, Breton, Derain, Braque, Picasso) e anche scrittori italiani che di Parigi avevano fatto in quegli anni la loro seconda patria, come Soffici, Palazzeschi, Savinio. Attraverso questi ultimi U. stabilì un contatto forse non profondo, ma certo significativo, col futurismo italiano, ed è infatti sulla rivista futurista «Lacerba» che vennero pubblicate in Italia le sue prime poesie. Tornato in Italia nel ’14, U. si abilitò all’insegnamento del francese e, all’inizio della guerra del 1915-18, fervido interventista, partì, soldato semplice di fanteria, per il fronte del Carso. La vita di trincea fu un’esperienza decisiva per il poeta, che scoprì compiutamente in quei mesi la propria vocazione di scrittore. Il porto sepolto uscì nel 1917 in un’edizione di soli ottanta esemplari. La seconda raccolta di poesie, Allegria di naufragi, è del 1919. Aderì poi al fascismo e divenne corrispondente da Parigi del «Popolo d’Italia», lavorando anche presso l’ambasciata italiana. Quattordici anni dopo, nel 1933, fu pubblicato Sentimento del tempo, il volume che segna una seconda fase, più elaborata e complessa, dell’esperienza poetica ungarettiana. Nel 1936 U. accettò di insegnare letteratura italiana al¬ l’università di San Paolo e si stabilì così per alcuni anni in Brasile. Lì, nel 1939, una tragedia sconvolse la sua esistenza: la morte, a nove anni di età, del figlio Antonietto. Da questa terribile esperienza nasceranno le liriche de Il dolore (1947). Nel frattempo U. era tornato in Italia, iniziando nel 1942 l’insegnamento di letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Roma. Nel 1950 uscì La terra promessa, nel 1952 Un grido e paesaggi, nel 1960 Il taccuino del vecchio: tappe della terza fase espressiva iniziata con Il dolore. Nell’edizione definitiva delle sue opere, a cui U. diede il titolo complessivo di Vita d’un uomo (1969), sono raccolte anche numerose traduzioni poetiche da Racine, Shakespeare, Góngora, Blake, Mallarmé, in parte già pubblicate in volume nel ’36 (Traduzioni) e nel ’48 (Da Góngora e da Mallarmé). Un volume di prose, Il deserto e dopo, fu edito nel ’61. Nel ’74 è apparsa la raccolta postuma di Saggi e interventi.
FASI E SIGNIFICATO DELL’ESPERIENZA POETICA DI UNGARETTI. Abbiamo già indicato la presenza di tre fasi nettamente distinte nello sviluppo della poesia di U. La prima fase è caratterizzata da un lavoro (cui non è certo estranea l’influenza del simbolismo francese, soprattutto di Mallarmé) di isolamento e di esaltazione della parola singola, sia nei suoi valori di sonorità e di ritmo sia in quelli di intensità emotiva. Le misure metriche tradizionali vengono frantumate per lasciar spazio, nel discorso lirico, alla pausa, al silenzio, dove, come scrive U., «una parola/scavata è nella mia vita/come un abisso». Si tratta quasi sempre di poesie brevissime, composte di versi a loro volta assai brevi (spesso persino di una sola parola). In questo periodo la lingua usata da U. è una lingua «parlata», sommessa, resa significativa e vibrante della tensione con cui viene pronunciata. Lo stesso si può dire per le immagini, il cui fascino consiste, nella maggior parte dei casi, proprio nella loro voluta e raffinata povertà. Con Sentimento del tempo U. cominciò a ricostruire a modo suo forme meno elementari di sintassi, di metrica e di immagini. Nelle liriche di questa raccolta il poeta accosta in costruzioni sempre più complesse e ardite (fino al limite, a volte sfiorato, di un suo personale «barocco») quelle parole singole che prima aveva teso a liberare e isolare; ora il lessico tende a perdere essenzialità, a elaborare una lingua letteraria «alta». Questa trasformazione stilistica si accompagna a contenuti concettualmente più ardui: riflessioni sul tempo e sulla morte, temi anche esplicitamente religiosi hanno preso il posto delle sensazioni concrete, degli «atomi» di emozione che costituivano il nucleo delle poesie di guerra. Dal punto di vista metrico, questa seconda fase rappresenta una svolta assai marcata: i versi brevissimi sono sostituiti da organismi più densi e articolati, che ritrovano alcune cadenze della metrica tradizionale. Con Il dolore, Un grido e paesaggi, La terra promessa e Il taccuino del vecchio siamo di fronte a una terza fase, che ha inizio con le poesie colme di straziante tenerezza scritte in morte del figlio e si svolge attraverso una rete sempre più fitta di riflessioni sul destino dell’uomo. Essa può essere indicata riassuntivamente come una fase di meditazione. Ciò in due accezioni: la prima di carattere stilistico, basata sul rilievo che il linguaggio poetico non è più volto, ora, alla ricerca di nuove possibilità e misure, bensì all’adozione di strumenti già collaudati sia dalla personale esperienza di U. sia dalla tradizione lirica italiana (Petrarca, Tasso, Foscolo, Leopardi); la seconda di carattere tematico, a partire dalla considerazione che sempre più, dopo Il dolore, U. sembra guardare alla sua vita e, in generale, alla storia degli uomini con il distacco, la malinconia, l’ironica saggezza dell’avanzata maturità e della vecchiaia. La ricerca poetica di U., da taluni (Flora) interpretata come un’anticipazione dell’ermetismo, ha ottenuto consensi e spesso fervidi sostegni già negli anni Venti (con analisi attente di Gargiulo, De Robertis, Contini e altri). Durevole la suggestione del dettato lirico ungarettiano sulla poesia del Novecento, fino al più recente sperimentalismo, che ha raccolto i suoi modelli di scomposizione e ricomposizione metrico-ritmica. Fonte: Enciclopedia della Letteratura Garzanti 2007.