ORA CHE ERAVAMO LIBERE

di Henriette Roosenburg

“Ora che eravamo libere” di Henriette Roosenburg

Genere: memoir
Editore: Fazi Editore
Pagine: 223
Edizione 21 gennaio 2021

Cari lettori,
quest’oggi torniamo a parlarvi di novità editoriali con un titolo edito da Fazi Editore che potrete trovare in libreria proprio a partire dal 21 gennaio. Con “Ora che eravamo libere” Henriette Roosenburg ci fa destinatari di un memoir in piena regola e ci narra di quei giorni che l’hanno vista reduce e sopravvissuta alla prigionia nazista. Un titolo che non mancherà di toccare i vostri cuori. Buona lettura!

a cura di Elide

Sinossi

Sopravvivere alla guerra, alla deportazione e al carcere, scampare a una condanna a morte e ritrovare la libertà tramite un lento e accanito ritorno verso casa, restare in vita per testimoniare e non far dimenticare un’esperienza che ha coinvolto migliaia di resistenti contro la barbarie nazista: tutto questo è Ora che eravamo libere, l’intenso memoir che la giornalista olandese Henriette Roosenburg pubblicò nel 1957 e che, grazie all’immediato successo presso i lettori americani, documentò in modo diretto la Nacht und Nebel, la terribile direttiva emessa nel dicembre 1941 da Adolf Hitler volta a perseguitare, imprigionare e uccidere tutti gli attivisti politici invisi al regime nazista. Nata nel 1916 in Olanda, Henriette Roosenburg aveva appena cominciato l’università quando si unì alla resistenza antinazista. A causa della sua attività come staffetta partigiana prima e giornalista poi, nel 1944 fu catturata, imprigionata nel carcere di Waldheim in Sassonia e condannata a morte. Nel maggio dell’anno successivo, venne liberata assieme ad altre sue compagne di prigionia, iniziando un lunghissimo viaggio per tornare a casa, un’autentica odissea attraverso la Germania sprofondata nel caos di fine conflitto. In mezzo a soldati alleati che presidiano il territorio, nazisti in fuga e tedeschi diffidenti o addirittura ostili perché ancora fedeli al regime, tra innumerevoli astuzie, baratti e peripezie, le protagoniste di questa estenuante via crucis riusciranno alla fine a riabbracciare le proprie famiglie in patria.

Procedendo in modo limpido e preciso e con una lingua duttilissima ma priva di sbavature, guidata dall’urgenza dell’affermazione dei fatti accaduti, Henriette Roosenburg ci offre non solo un momento cruciale della propria personale esistenza, ma soprattutto un poderoso affresco della tragedia che ha coinvolto milioni di vite durante e immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale. Bestseller negli anni Cinquanta, ai tempi della prima uscita americana, questo potente memoir viene oggi riscoperto a livello internazionale.

Recensione

«Il fatto è che il corpo umano è capace di sopportare molte più privazioni di quante comunemente si pensi, a patto che la mente abbia qualcosa cui appigliarsi, anche la cosa più sciocca. In questo caso la donna del busto sopravvisse dedicandosi al baratto, ottenendo così cibo extra. Noi altre ci eravamo dedicate al ricamo e, malgrado la fame, eravamo disposte a privarci di qualche alimento pur di ottenere il filo rosa. Molte NN morirono a causa di malattie incurabili provocate dalla malnutrizione (come la tubercolosi) o dalla sporcizia (febbre tifoidea), per le torture o semplicemente perché la loro mente aveva gettato la spugna e aveva rinunciato a combattere. Ho visto persone accasciarsi a terra e morire nel giro di pochi giorni dopo che il cervello le aveva abbandonate. Alcune erano religiose, altre no. La lezione che ho imparato è che la gente può restare aggrappata alla vita anche nelle circostanze più atroci purché trovi qualcosa, al di fuori di se stessa, su cui concentrarsi, basta anche un misero pezzetto di stoffa o un busto rosa.»

E lo sanno molto bene i nostri quattro protagonisti le cui strade si sono incrociate proprio in quel luogo di prigionia ove anche un semplice filo poteva essere l’elemento risolutore per non impazzire, per non perdere la lucidità e mantenersi aggrappati alla realtà. In questa storia di liberazione quattro sono le voci protagoniste in quel viaggio che li ha ricondotti a casa. Quattro prigionieri politici olandesi che alla fine della Seconda guerra mondiale affrontano la strada del rientro dopo che i soldati russi li avevano liberati dalla prigione di Waldheim, un piccolo villaggio nella Germania sud-orientale.

«Nei giorni seguenti comprendemmo che, malgrado fossimo liberi, la prigione era ancora la nosra casa e gli eserciti vincitori non avevano preso nessun accordo per riportarci alle nostre città d’origine, a seicento chilometri di distanza da lì. Fu una delusione tremenda, soprattutto per Nell, che si era figurata di attraversare la Germania sconfitta a bordo di autobus sormontati dalle bandiere della Croce Rossa, con soste ogni due ore per mangiare pasti succulenti, serviti e riveriti da una schiera di nazisti umiliati. Invece ci avevano abbandonati a noi stessi.»

È così che conosciamo Nell, trent’anni che era funzionaria del movimento scout olandese e le cui doti organizzative furono determinanti nella resistenza. Prima di essere arrestata dalla Gestapo nel 1943 fu lei a coordinare i nascondigli per i piloti alleati abbattuti in Olanda. Conosciamo ancora Joke, di anni venti, che collaborò, fresca di diploma, con un gruppo di partigiani che si occupavano di raccogliere i piloti alleati sino a che non viene promossa e conosce Nell che già lavorava sulle “vie di fuga”. Zip, invece, di ventotto anni è la narratrice di questa avventura essendo ella una studentessa di Letteratura olandese e francese all’Università di Leida. Inizia a lavorare nella “stampa clandestina” all’inizio della guerra per poi diventare staffetta tra Belgio, Francia e Svizzera. Infine conosciamo Dries, l’unica quota azzurra, di anni ventisei. Marinaio mercantile quando scoppiò la guerra era in congedo. Nell’estate del 1944 tentò insieme a tre amici di attraversare in barca la Manica. Catturato nell’aprile del 1944, come le sue compagne, fu condannato a morte.

Per mezzo della voce delle tre donne prima, e dell’uomo, poi, cominciamo a ricostruire la loro storia e la loro vita. Scopriamo di quell’ondivago e irrazionale trattamento che i tedeschi riservavano ai prigionieri politici che potevano essere tanto uccisi sul momento senza un processo quanto arrestati e imprigionati i luoghi dove morivano di fame, di dissenteria, di tubercolosi e di altre malattie che dilagavano nei campi di concentramento. Il trattamento poteva cambiare inoltre a seconda dei casi anche dopo il processo. A volte i condannati a morte venivano prelevati dalla prigione al mattino dopo la sentenza e giustiziati, altre volte venivano sbattuti nel “Nacht und Nebel” (“Notte e Nebbia”), detto NN, e sballottati da una prigione all’altra. Quest’ultimo destino è quello che riguarda i nostri eroi che essendo nel gruppo dei NN vennero spostati ogni tot mesi e senza una precisa logica da una prigione all’altra.
Questo almeno sino a quel giorno in cui, dopo mesi di voci e di sospetti, fu chiaro che i nazisti avevano perso e la libertà era stata loro restituita.

Cosa fare adesso? Come tornare a casa? Sopravvivere alla guerra, alla deportazione, scampare a una condanna a morte e infine riscoprire la libertà proprio con quel viaggio di ritorno; quel viaggio che permetterà loro di testimoniare e mai dimenticare è ciò che più emerge dalle voci presenti in “Ora che eravamo libere”. In questo intenso memoir pubblicato per la prima volta nel 1957, Henriette Roosenburg, giornalista olandese, porta l’attenzione del lettore a soffermarsi sui NN e in particolar modo su quella direttiva emessa da Adolf Hitler nel 1941 relativa alla persecuzione di ogni attivista politico nemico del regime. Essendo la Roosenburg stessa membro della resistenza, fu catturata e imprigionata nei NN nel 1944 e infine liberata insieme alle sue compagne nel 1945 quando appunto con queste iniziò il ritorno a casa in una Germania caduta e nel caos più totale sino a riuscire a riabbracciare i propri cari.

“Ora che eravamo libere” procede in modo chiaro, lineare e logico. Ci conduce per mano, ci racconta cos’era la vita negli NN, ci mostra i pensieri delle detenute e come queste riuscivano a sopravvivere, ci mostra la speranza di poter tornare a vivere e a credere in un futuro. Ci mostra un tassello della nostra storia che non deve essere dimenticato. È un passaggio tra il prima e il dopo la prigionia, è un tornare a vivere con coraggio e determinazione.

“Ora che eravamo libere” è un memoir che tocca il lettore, ne solletica le corde, ne scava nell’anima. Bestseller negli anni Cinquanta torna adesso in libreria per farsi scoprire e amare. Senza difficoltà e senza remore. Perché “Ora che eravamo libere” trattiene tra le sue pagine ed è una esigenza per il lettore. Come lo è stato per l’autrice che necessitava di parlare, di esporre, di ricordare, di lasciare una testimonianza indelebile, per il lettore è esigenza di sapere, custodire, far proprio.

“Ora che eravamo libere” è una lettura che si divora e che non si dimentica.

Il nostro giudizio:
Trama:Voto 5/5
Stile:Voto 4,5/5
Piacevolezza:Voto 5/5
Copertina:Voto 5/5
Voto finale:Voto 4,5/5