Penne d’autore, uno sguardo su: ALBERTO MORAVIA

a cura di Rosa Zenone

Alberto Moravia

Bentrovati cari lettori,
riprendiamo la nostra consueta rubrica Penne d’autore e apriamo questo primo appuntamento del 2021 con un autore d’eccezione del nostro panorama letterario, Alberto Moravia, una delle penne che compongono l’olimpo letterario del nostro Novecento.

Alberto Pincherle, questo il suo cognome anagrafico, nasce a Roma il 28 Novembre 1907. La prima fase della sua vita fu particolarmente difficile: all’età di soli 9 anni infatti si manifestano i sintomi di una terribile malattia, la tubercolosi ossea, che costringerà il giovane scrittore a trascorrere lunghi periodi di “allettamento” e alla permanenza presso il sanatorio Codivilla di Cortina D’Ampezzo fino al 1925. A causa delle sue precarie condizioni di salute, la sua istruzione sarà completamente assolta da autodidatta. Inoltre, tale indotta esclusione, probabilmente contribuì a formare quello sguardo distaccato e razionale che caratterizza le sue opere.

Il suo genio non tardò a manifestarsi, a soli 22 anni egli infatti fa il proprio ingresso sulla scena pubblicando, a proprie spese, quella che indubbiamente è la sua più celebre opera, Gli indifferenti, ritratto di una famiglia borghese colta nella propria “indifferenza” e incapacità di reagire.

“Avevo scritto molte poesie, novelle e persino un paio di romanzi.  Si trattava nella grande maggioranza di imitazioni da questo o quest’altro autore di cui via via mi infatuavo. Con Gli indifferenti, per la prima volta in vita mia, mi parve di mettere i piedi su un terreno solido. Dalla buona volontà sentii ad un tratto che passavo alla spontaneità.”

In Gli indifferenti, di cui potete leggere la nostra recensione, comincia a delinearsi quel nucleo tematico tanto caro all’autore e che ne contraddistinguerà per buona parte la produzione, basata su argomenti a lui contemporanei. La lente è puntata sul mondo borghese, o per meglio dire sul suo sfacelo, sulla perdita di valori e l’ipocrisia imperante che vi regna, un mondo dominato da una concezione utilitaristica che trova il proprio apice nel denaro e nel sesso, ambedue elementi che rispondono all’idea borghese del possesso. La rappresentazione è quella di una società capitalista e consumista, che ha inchiodato l’uomo a ruoli e convenzioni, al di sopra del quale aleggia la felicità come concetto astratto inafferrabile.

L’uomo è stato espropriato della propria umanità, ed è divenuto un mero “mezzo” che risponde a logiche non proprie ma dettate e trasmesse, tale problematica è alla base della sua raccolta di saggi letterari L’uomo come fine del 1964,  un’opera in cui il pensiero di fondo di Moravia prende corpo in modo particolarmente chiaro.

“L’uomo del neocapitalismo com tutti i suoi frigoriferi, i suoi supermarket, le sue automobili utilitarie, i suoi missili e i suoi set televisivi è tanto esangue, sfiduciato, devitalizzato e nevrotico da giustificare coloro ché vorrebbero accettarne lo scadimento quasi fosse un fatto positivo e ridurlo a oggetto tra gli oggetti. Purtroppo però l’uomo del neocapitalismo non riesce a dimenticare la propria natura dopo tutto umana. Il suo antiumanesimo per questo non riesce ad essere positivo. Sotto apparenze scintillanti e astratte, si celano, a ben guardare, la noia, il disgusto, l’impotenza e l’irrealtà.”

I personaggi di Moravia sono alquanto statici, incapaci di reagire e di coniugare pensiero e azione. Personaggi impossibilitati nel loro rapportarsi alla realtà, che si trovano in una posizione totalmente straniante che, però, non diviene occasione di cambiamento e ribellione. In tale e persistente immutabilità di fondo si percepisce il profondo pessimismo dell’autore che vede l’esistenza umana in un forte e inscindibile connubio con il dolore e la disperazione, e che, inoltre,  inietta nei propri testi una mancanza di via di uscita presupponendo un soccombere al “lasciarsi vivere.”

La crisi del mondo borghese con le sue implicazioni e conseguenze è un argomento trattato e ampliato in diverse opere e diverse modalità. Senza ombra di dubbio possiamo annoverarvi La noia(1960), altra opera nota e che delinea un diffuso sentimento tra i suoi personaggi, non così distante da quello provato da Gli Indifferenti.

“La noia per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà. Per adoperare una metafora, la realtà, quando mi annoio, mi ha sempre fatto l’effetto sconcertante che fa una coperta troppo corta, ad un dormiente, in una notte d’inverno: la tira sui piedi e ha freddo al petto, la tira sul petto e ha freddo ai piedi; e così non riesce mai a prender sonno veramente.”

Altri romanzi inerenti gli stessi motivi di difficoltà nel rapportarsi col reale  e di crisi borghese sono La disubbidienza (1948), basato sul totale estraniamento/ annientamento del protagonista, Il Conformista (1951) incentrato sulla ricerca di normalità. Da aggiungersi inoltre Il disprezzo (1954) e L’attenzione(1965) che ampliano ulteriormente la materia aggiungendovi la difficile situazione dell’intellettuale che vede ridotta la propria opera a mera merce di consumo, specificamente e rispettivamente nei due libri citati il cinema e la letteratura.

Ma torniamo nuovamente nella vita del nostro autore laddove avevamo interrotto, precisamente alla pubblicazione di Gli indifferenti, un’opera di cui fu proibita la ristampa dopo cinque edizioni e che pose Moravia in una posizione sospetta e invisa al regime fascista.

Anni dopo, nel 1937, conosce la scrittrice Elsa Morante, con la quale culminerà a nozze nel 1941. Durante il soggiorno a Capri in compagnia di quest’ultima, comincerà la stesura di Agostino (1945), un racconto lungo che narra la maturazione dell’omonimo protagonista e del suo rapportarsi e scoprire il mondo circostante.

Nel 1943 fugge insieme alla Morante per evitare l’arresto da parte dei fascisti, non solo in quanto ritenuto sedizioso nei confronti del regime ma anche in quanto figlio di un uomo di origini ebree.

Nella sua sterminata produzione letteraria, accanto agli argomenti a lui più cari e precedentemente enunciati, trova spazio nel periodo postbellico una parentesi neorealista che include nella propria orbita il mondo più propriamente popolare contrapposto a quello borghese, opere di questo periodo sono La Romana (1947) e La ciociara (1957).

L’impegno e l’acume di Moravia non furono solo al servizio della narrativa, infatti egli nel 1953 fonda insieme ad Alberto Carocci la nota rivista “Nuovi argomenti”, alla cui direzione si unirà in seguito anche quello che fu uno dei suoi più cari amici, Pier Paolo Pasolini. Ma non solo, egli si è occupato anche di cinema, scrivendo recensioni sull’ “Espresso”, e di teatro. Fondò a Roma  con Dacia Maraini, sua compagna in seguito alla separazione con la Morante,  la compagnia teatrale del Porcospino, inoltre egli stesso elaborò diversi drammi: come Il dio Kurt e La vita è gioco, ambedue del 1968. Accanito e instancabile viaggiatore, forse per conseguenza degli anni di stasi della malattia, egli ha curato anche diversi volumi di “prosa di viaggio”, nati dalle sue esperienze itineranti soprattutto nel terzo mondo, come Un’idea dell’India (1962) e A quale tribù appartieni (1972).

Il suo inesauribile impegno è testimoniato anche dalla sua elezione nel 1984 al Parlamento Europeo come indipendente nelle liste del Partito Comunista, infatti ha sempre rifiutato di iscrivervisi pur ritrovandovi dei punti in comune e adottando una visione marxista per l’interpretazione sociale ed economica. Fu spinto dal ricoprire la carica dai motivi ai quali dedicherà ampio spazio da parlamentare, ossia osteggiare la guerra e l’uso di armi nucleari e chimiche. Egli, come si apprende da alcune interviste, sognava di far interiorizzare il tabù della guerra al pari di quello dell’incesto, così da poterla bandire una volta e per sempre. Purtroppo, come sappiamo, neppure il suo carisma è riuscito a vincere questa lotta di civiltà.

Alberto Moravia fu un intellettuale a tutto tondo in grado di coltivare diversi interessi, ma soprattutto di interagire con la realtà e le sue problematiche attraverso una fertile dialettica.

Tra le sue ultime opere letterarie rientrano una serie di racconti focalizzati sull’universo femminile, Il paradiso (1970) , Un’altra vita (1973), Boh (1976). Ricordiamo inoltre, della sua tarda produzione, Io e lui (1971) un romanzo grottesco sul sesso, 1934 del 1982 (per approfondire qui vi è la nostra recensione).

La grandezza di Moravia indubbiamente si cela nella scelta di tematiche esistenzialiste che si rivelano sempre attuali, ma soprattutto nella capacità del suo sguardo di saperle cogliere e trasmettere, attraverso un linguaggio asciutto e mai pomposo ma sempre di grande effetto. Le sue opere si rivelano sempre estremamente introspettive, in modo lucido e razionale, e dotate di un significato espressivo inesauribile, in grado di far riflettere il lettore, coinvolgerlo e non di rado scatenarvi turbamento, dubbio e inquietudine.

Nel 1986, in seguito alla morte di Elsa Morante, sposa quella che sarà l’ultima donna della sua vita, l’autrice Carmen Llera. Alberto Moravia morirà a Roma nel 1990, un anno dopo sarà pubblicata postuma la sua ultima opera, La donna leopardo.

Attraverso i suoi romanzi e i suoi racconti, Alberto Moravia è riuscito a rispettare davvero la propria idea di letteratura coincidente con l’umanesimo, egli infatti celebra l’uomo ponendolo come oggetto di indagine e sviscerandone le contraddizioni e i lati più oscuri in modo altamente complesso e svelando aspetti, non sempre evidenti ai nostri occhi, sui quali vale la pena soffermarsi.

“(…) Un libro si spiega e si giustifica da sé come ogni organismo vivente, come un fiore o un animale. (…) Dopo tutto un libro non è un libro bensì un uomo che parla attraverso un libro.”

Tanti uomini hanno parlato attraverso i libri, ma vale maggiormente la pena udire alcuni di essi, e tra questi non può non ergersi la voce illuminante e fuori dal coro di Alberto Moravia, la cui lettura si rivelerà una potente folgorazione che vi accompagnerà per sempre.