Penne D’Autore, uno sguardo su: HANS CHRISTIAN ANDERSEN

“La vita di per sé è la favola più fantastica.”

Carissimi lettori,
ben ritrovati alla nostra rubrica Penne d’Autore!
Oggi e per l’intero mese di aprile, vi intratterremo con un tema leggermente diverso dal solito: la fiaba!
Prendendo ispirazione dal vecchio detto “Aprile, dolce dormire” le mie bizzarre sinapsi hanno collegato con un aggraziato (ma non troppo) volo pindarico, l’arrivo di Aprile con il momento più piacevole della giornata: quello della lettura prima di andare a letto… per rilassarsi ma soprattutto per sguinzagliare la fantasia!
E a chi non potevo dedicare queste righe se non ad un mito della mia infanzia? Uno scrittore che in questo genere, è famoso: è il saggio, prolifico, Hans Christian Andersen.

a cura di Elisa Mazza

Hans C. Andersen nasce a Odense, Danimarca, il 2 aprile 1805 e sin da piccolo si scontrerà con una realtà durissima fatta di estrema povertà. Nel piccolo villaggio rurale, il padre ciabattino, la madre e la sorellastra sono costretti a vivere tutti in una singola stanza assieme alla nonna materna.
Nonostante, l’avarizia della vita, il padre di Andersen fu un uomo stravagante, generoso e amante di arte come letteratura, musica e teatro, facendo appassionare il nostro Hans a quel mondo fantastico e così diverso dalla sua grigia esistenza. Anche la madre fomenterà e spronerà quel giovane ancora acerbo, attraverso favole e leggende popolari. Così nacque il suo estro creativo. Sempre la madre, deliziata dalla sua bravura nel realizzare piccoli teatrini o addirittura cantare opere liriche frutto della sua fantasia, lo spinse a iniziare gli studi in un istituto riservato ai figli di ebrei. Tengo a dire che nell’arco della sua vita non ebbe mai quella che chiamerei una formazione accademica completa ne tantomeno regolare, ma questo non lo fermò affatto, sebbene le sue opere vennero spesso criticate per gli errori grammaticali e cattive traduzioni tra correttori e interpreti vari.
Purtroppo la presenza paterna ha vita breve: tornato dalla guerra mentre era in cerca di fortuna come tenente, al seguito di una malattia il padre scomparve e la mamma dello scrittore fu costretta a cercar lavoro come lavandaia. In seguito diventerà alcolizzata e infine verrà rinchiusa in uno ospizio.
Hans nel 1819 si trasferisce a Copenaghen e inizia a cimentarsi come attore e cantante. A causa della scarsa armonia e fisicità e dalla voce che cambierà in fase di crescita, Andersen non potrà mai realizzare il suo sogno principale, cioè calcare il palco come stella teatrale. Ma quest’uomo non demorde, al di là dei testi scritti o fonti si percepisce sin da subito di essere in presenza di una persona straordinaria, volitiva, coraggiosa e pura d’animo.
Comincia a pubblicare testi, diari, fino al primo romanzo, L’improvvisatore nel 1835, storia con molte analogie con il trascorso difficile del nostro scrittore. Finalmente la tanto agognata notorietà lo raggiunge anche se, il vero exploit arriverà con la sua fiorente opera di fiabe. Ne scriverà più di centocinquanta: egli diverrà celebre in tutto il mondo, tradotto in più di trenta lingue, un vero immortale della letteratura. Tra le prime scritte, in una raccolta pubblicata tra il 1835-37, figurerà I cigni selvatici (che ho recensito per voi qui); una delle mie preferite e derivata dalla tradizione popolare scandinava.
Successivamente troverà spunto in un’ispirazione decisamente poliedrica: scriverà la famosa Gli abiti nuovi dell’imperatore prendendo esempio dalla fastosa Spagna, dalla natura e la sua bellezza serena L’usignolo e persino dall’utilizzo sempiterno degli oggetti quotidiani come Gli stracci. Finalmente è nel 1838 che allo scrittore viene riconosciuto un vitalizio come letterato, che lo libererà dalle necessità economiche dandogli la possibilità di scrivere liberamente.
Durante lo sviluppo della sua carriera viaggerà in tutta Europa sempre alla scoperta, curioso come non mai, di inventare nuovi mondi. È in Inghilterra nel 1847, in uno di questi vagabondaggi, che incontrerà e farà amicizia con l’altrettanto famoso Charles Dickens col quale, tra alti e bassi, resterà legato per tutta la vita soprattutto in via di un’epistolare amicizia e fino alla morte di Dickens avvenuta nel 1870.
Vorrei davvero potervi trasmettere non solo i dati biografici, ma persino gli stati emotivi, gli umori del giovane Hans di quando si accendeva la “lampadina” dell’ingegno e nasceva una nuova opera; purtroppo non è possibile, ma credo che noi tutti possiamo immaginarci senza fatica i suoi viaggi, lo stupore negl’occhi, il luccichio della passione mentre scriveva alacremente una nuova storia.
Non potevano poi mancare tantissime fiabe con spunti di vita vissuta come L’intrepido soldatino di stagno a mio parere altra perla dell’autore, che sottolineano il suo passato duro, il bisogno di realizzarsi nonostante la malinconia dei fatti accaduti e dello scontrarsi con la realtà spesso deludente. Tutta la carriera di Hans Christian Andersen è segnata da una sorta di duplicità, un bipolarismo tra sofferenza e risarcimento; il nostro favoliere, quindi, fu decisamente uno scrittore ipersensibile, prigioniero volontario di una fantasia sconfinata ma anche delle ferite segnanti del suo passato difficile.
Ci sono dei temi ricorrenti che interessano sentitamente lo scrittore: tra i principali possiamo evidenziare il sacrificio d’amore, come nella famosa (e ben più cruda) La sirenetta dal quale Walt Disney ricaverà il tanto amato cartone animato. Faccio notare che nonostante i buoni sentimenti, nelle fiabe non mancherà mai il tratto della sofferenza, persino del macabro. Inoltre risalta anche il tema del “diverso” che lotta per essere accettato, come si riscontra ne Il brutto anatroccolo.
A livello privato, il nostro protagonista danese, purtroppo si scontrò spesso con il bullismo a causa del suo aspetto dinoccolato e modi effemminati; queste tristi esperienze contribuirono al suo fare schivo e alla sua finale decisione di evitare frequentazioni e rimanere volutamente scapolo; si sentiva “sospeso” tra due mondi, maschile e femminile, ai quali non potendone appartenere del tutto, decise di rimanere del tutto fuori.
E infine, ad esempio nella fiaba La piccola fiammiferaia, si evince l’ultimo tratto decisivo: cioè la fede, l’ ottimismo, la certezza di un paradiso (che in realtà non si capisce bene in cosa consista, ma che in ogni caso vada conquistato con un fiducia nell’essere dalla parte della giusta provvidenza).
Che insegnamento possiamo trarre, quindi, dagli scritti di Andersen? Il più grande: che vita e morte sono due facce della stessa medaglia e che devono coesistere nel nostro destino. Ma, per me, ancora più esaltante è il suo essere, lo stile candido, infantile, pieno di meraviglia e fiducia nell’abbandonarsi a sensazioni ed emozioni. Il nostro Hans vive sulla sua stessa pelle le novelle che ci racconta, le crede reali e possibili e soprattutto sente e ci dona un energia benevola, un genuino destino positivo nonostante tutto.
Veniamo ora alla parte più triste: nella primavera del 1872, Hans, cadde dal letto facendosi piuttosto male e non si riprese mai del tutto. Morirà 3 anni più tardi, nel 1875, di morte naturale, in una casa chiamata Rolighed (letteralmente: quiete), di proprietà di suoi amici, nei dintorni di Copenaghen. Hans Christian Andersen resta, ancora oggi, un punto di riferimento, un sempreverde del mondo letterario e fantastico, in particolare verso la letteratura per i più giovani: in grande onore, il giorno del suo compleanno, il 2 aprile, viene celebrato in tutto il mondo con la Giornata internazionale del libro per bambini.

Non trovate che, sia stato e sempre sarà, un personaggio stupefacente? Io mi sono davvero emozionata nel ricostruire la sua storia!
Spero di non avervi tediato troppo e rinnovo l’ invito al nostro usuale appuntamento del lunedì!

Le Penne Irriverenti vi augurano una buona e luminosa giornata.