TOSCANA L’ATELIER DELLA BESTEMMIA

(Dispacci Italiani) 

di Autori Vari

Toscana. L’Atelier della Bestemmia di Autori Vari
Editore:  Les Flâneurs Edizioni
Genere: Narrativa italiana contemporanea
Pagine: 122
Edizione: Giugno 2020

a cura di Pamela Mazzoni

Cari lettori,
la casa editrice barese Les Flâneurs, più precisamente nella persona di Davide Grittani, scrittore e giornalista qui nella veste di curatore della nuova collana Dispacci Italiani, ci accompagna in un viaggio attraverso la nostra bellissima Italia che, adesso più che mai, ha bisogno di riacquistare la sua unitaria identità e di credere in sé stessa.
La forza da cui attingere è sprigionata dal suo popolo, dalle bellezze naturali, dai piccoli comuni e dalle grandi città, dalla storia, dal passato e dal presente: ed ecco l’idea di questa collana che, attraverso una serie di libri ognuno dedicato ad una regione diversa, vede la partecipazione di scrittori più o meno famosi che, di volta in volta, attraverso i loro racconti che siano essi seri, ironici, di vita vissuta o di fantasia, ci mostreranno il vero cuore della loro terra.
Il punto di partenza è il libro di cui parleremo oggi, “Toscana. L’atelier della bestemmia”.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura ma, soprattutto, buon viaggio!

Sinossi

La memoria di una vita riflessa nella scatola dei fiammiferi; la corsa dietro le rane come fossero fantasmi dell’infanzia; il tragitto dal paese alla città, nella speranza di trovarci avventure, imprese e magari l’amore; le braccia del vento che s’infilano nei vicoli di Livorno, schiaffeggiando chi credeva di essere al sicuro; i cunicoli di un acquedotto diventano vasi sanguigni, in cui scorrono millenni di acqua e menzogne; le religioni di una Firenze impossibile da riconoscere, lontana dagli smartphone e dalla felicità in saldo; la riesumazione di due cadaveri sull´Abetone, dove il freddo congela soprattutto le vergogne della guerra. C’è di tutto nel primo volume di Dispacci Italiani, un viaggio nell’umiltà prima ancora che un progetto editoriale. Ma perché siamo partiti proprio dalla Toscana? Intanto perché i Toscani scrivono bene, bevono e fumano anche meglio. E poi perché dalla loro immagine sbiadita, da quel caratteraccio e da quella ossessione verso la vita, non traspare un aspetto indispensabile alla Scrittura: la capacità di mendicare la memoria, di supplicarla senza pudore.

Recensione

Toscana: terra di contadini, di paesaggi mozzafiato, di mare e di montagna, popolata da gente schietta, sanguigna, polemica e sboccata, per la quale l’ingiuria e la parolaccia non sono sinonimo di maleducazione: sono semplicemente un intercalare, il nostro modo di dare forza al significato di quello che si vuole dire.
Curzio Malaparte, pratese, ci aveva mirabilmente descritto in una frase: “I toscani hanno il cielo negli occhi e l’inferno in bocca.”: da qui il titolo, che caratterizza la Toscana come “L’atelier della bestemmia”; un ossimoro molto esplicativo, con il raffinato sostantivo atelier ad indicare un laboratorio artigiano, dove i prodotti in questo caso sono le bestemmie, che con la raffinatezza non hanno proprio niente a che vedere.
Diciamo che in Toscana si bestemmia, ma è un turpiloquio non fine a sé stesso; comunque, anche se fortunatamente era un vezzo più del passato quello di infarcire i discorsi con improperi di vario genere, c’è da specificare che questa scurrilità di linguaggio nasconde un preciso segno distintivo del retaggio comunista della nostra regione, fucina di omoni anarchici ed anticlericali inconvertibili, molto spesso sposati con pie donne timorate di Dio, che sospiravano e si facevano il segno della croce ad ogni sfondone che usciva dalle bocche dei loro mariti.

“Uno degli elementi del maledettismo toscano era sicuramente la bestemmia e il turpiloquio che potevano assomigliare a una poesia o addirittura a una preghiera. I toscani hanno il cielo negli occhi e l’inferno in bocca, scriveva Malaparte. L’esempio oggi più conosciuto credo sia l’imprecazione lunga qualche minuto che troviamo nel film con Benigni, “Berlinguer ti voglio bene”, un vero e proprio mantra, pronunciato da Mario Cioni, in un ritorno a casa nella campagna, che sfoga umiliazione e frustrazione dopo che gli amici gli hanno fatto un terribile scherzo annunciandogli che la mamma è morta.
Cioni, stralunato e vinto dalla sofferenza, si addormenta in un sottopasso allagato non prima di aver dato fondo a un filosofeggiamento su Dio, la morale, il sesso.
Siamo nel 1977. Se andiamo indietro negli anni la bestemmia e il turpiloquio erano certo più diffusi e si sentivano nei bar, nelle conversazioni o nei litigi.”

È proprio questa nostra singolare peculiarità a fare velatamente da fil rouge a questa raccolta di racconti: sette storie per altrettanti scrittori, ognuno interprete in un modo del tutto personale della toscanità, di ciò che eravamo e che siamo, nel bene e nel male. Ed ecco che affiorano dalle pagine i malinconici ricordi di Sergio Nelli, immortalati in un fermo immagine in bianco e nero della Fucecchio degli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’economia girava intorno alla produzione di scarpe e scatole di fiammiferi, quando ancora fare la merenda era uno dei momenti più importanti della giornata e tutto si muoveva lento;
gli anni Ottanta vissuti nella sua Calenzano e raccontati da Roberto Masi, che dal sonnellino pomeridiano e la caccia alle rane, ai primi amori, al matrimonio, ci fa rivivere il passaggio dall’innocente e scanzonata gioventù alla più ponderata e riflessiva maturità, nella struggente consapevolezza della ruota della vita che gira incessantemente;
Emiliano Gucci, invece, ci trasporta dentro una storia dove la collocazione spazio-temporale non è in primo piano, mentre lo è invece il sogno del protagonista di integrarsi in una nuova città, di trovare un lavoro e un amore; una ricerca legittima di una normalità che però si infrange miseramente contro uno spesso muro di ipocrisie e falsità, con la cattiveria ed il male che incombono minacciosi sotto forma di un mostro sepolto sotto la strada, celato alla vista dei cittadini rassegnati all’indifferenza;
Veronica Galletta, vincitrice del Premio Campiello Opera Prima 2020, ci accompagna invece tra i moli, il porto, i fari, le dighe di una Livorno sferzata dal Libeccio, che fa temere il crollo dei piloni per quel senso di instabilità che si porta con sé, e che si riflette anche sul rapporto della scrittrice con questa città dove lei abita ma che non sente sua, e da siciliana non ne è stata pienamente conquistata;
Marco Vichi, invece, narra la sua sorta di personale pellegrinaggio alla scoperta delle realtà religiose presenti a Firenze e, tra una Sinagoga ed una Moschea, tra un incontro con l’Imam ed uno col Rabbino, traspare la totale tolleranza ed il pieno rispetto di una città intera verso chi professa altre fedi, la silenziosa risposta a chi ci taccia di essere diffidenti;
Massimo Campigli, con poche ma precise pennellate, ci dipinge il carattere dignitoso e fiero della categoria che più ci rappresenta, i contadini, che in un periodo di siccità idrica e di aridità umana, sono pronti a deporre le armi di fronte all’insensibilità di chi li dovrebbe salvaguardare, ma capaci poi, da buoni toscani, di un geniale e beffardo colpo di coda finale.

“Chi entra in Toscana si accorge subito di entrare in un paese dove ognuno è contadino. Ed esser contadino da noi non vuol dire soltanto saper vangare, zappare, arare, seminare, potare, mietere, vendemmiare: vuol dire sopra tutto saper mescolare le zolle alle nuvole, far tutt’una cosa del cielo e della terra.
In nessun luogo, dirò, il cielo è così vicino alla terra come in Toscana: e lo ritrovi nelle foglie, nell’erba, nell’occhio dei bovi e dei bambini, nella fronte liscia delle ragazze. Uno specchio il cielo toscano, così vicino che lo appanni col fiato: monti e poggi le nuvole, e tra quelli le ombrose valli, i prati verdi, campi dai solchi diritti (e quando è terso vedi nel fondo, come in un’acqua limpida, le case, i pagliai, le strade, le gore, le chiese). Ad ogni colpo di zappa l’aria si mescola alla terra, e subito dalle zolle spunta una peluria d’erba verde e azzurra, nascono larve di cicale e allodole improvvise.”

Infine Ilaria Giannini, che ci narra un episodio rappresentativo degli orrori della guerra, con i cadaveri di due ragazzi uccisi dalle SS all’Abetone, e sepolti in una fossa; ma la pietà umana non è rimasta seppellita sotto i bombardamenti, anzi fa sì che i loro corpi vengano riesumati, per riportarli a casa dalle famiglie.
Diverse le storie, diversi gli stili nel raccontarle, ma con in comune la capacità di dare uno spaccato preciso della cultura, della storia, dell’identità toscana; tra l’altro ogni racconto è corredato da bellissime foto che intervallano piacevolmente la lettura.
Possiamo piacere o stare antipatici, far sorridere o storcere il naso, ma sicuramente orgogliosamente toscani… anzi, italiani.

Il nostro giudizio:


TramaVoto 4


StileVoto 4


PiacevolezzaVoto 4


CopertinaVoto 4,5


Voto finaleVoto 4

Gli Autori

Sergio Nelli (tra tutte le sue opere segnaliamo Orbite clandestine, Einaudi 2011), scrittore di straordinaria intensità, ritenuto un riferimento per stile, coraggio e credibilità letteraria; Emiliano Gucci (l’ultimo romanzo è Le anime gemelle, Feltrinelli 2020), le cui storie possiedono un’impronta così riconoscibile da essere diventato uno dei narratori più apprezzati soprattutto per l’originalità; Marco Vichi, scrittore tra i più letti del panorama letterario nazionale; Veronica Galletta (da poco in libreria con Le isole di Norman, Italo Svevo 2020), tra le voci femminili più singolari della nuova narrativa. Completano il volume Roberto Masi (saggista); Massimo Campigli e Ilaria Giannini (giornalista, esperta nella narrazione dei luoghi e dei “non luoghi” della Toscana).