DAL LIBRO 40 NOVELLE: I CIGNI SELVATICI

di Hans Christian Andersen

40 novelle – I cigni selvatici di Hans Christian Andersen
Editore: Arcadia Ebook
Genere: Fiabe e racconti
Pagine: 239
Edizione: 13 Agosto 2014

Amici Lettori,
oggi recensirò per voi la novella I cigni selvatici di Hans Christian Andersen.
Tratta dal libro 40 novelle, questa particolare storia per la sua composizione ed emozioni mi è assai cara, decisamente un tratto formativo della mia infanzia! Vi ricordo inoltre che il nostro scrittore danese è anche il protagonista per il mese di Aprile della rubrica Penne d’Autore (ecco a voi il link di riferimento).

Buona Lettura!

a cura di Elisa Mazza

Sinossi – I CIGNI SELVATICI

Come gli disse un amico “… le fiabe ti faranno immortale.” In questo libro alcune fra le più belle fiabe di Andersen, da “Il brutto anatroccolo” a “I vestiti nuovi dell’imperatore, da “La principessina sul pisello” a “la Sirenetta” che ha ispirato il famoso film della Disney.

Recensione

“Molto lontano da qui, dove le rondini volano quando qui viene l’inverno, viveva un re con undici figli e una figlia, Elisa. Gli undici fratelli, che erano principi, andavano a scuola con la stella sul petto e la spada al fianco; scrivevano su una lavagna d’oro usando punte di diamante e sapevano leggere bene i libri e recitare a memoria: si capiva subito che erano principi. La loro sorella, Elisa, stava seduta su uno sgabellino di cristallo e guardava un libro di figure che valeva metà del regno. Oh! quei bambini stavano proprio bene, ma la loro felicità non poteva durare per sempre!”

Questa è la storia non di Elisa, ma di due; una è la protagonista, l ‘altra è l’inizio di una nuova Me.
Hans C. Andersen scrive la novella I cigni selvatici che farà parte del mio libro “Le più belle novelle” (edizione 1955, non più in commercio) che un giorno della mia infanzia approderà giusto giusto sul mio comodino. Permettete, ero ancora molo piccola, 6 o 7 anni o giù di lì; e la testa completamente distaccata dalla realtà, sul serio.
Cercherò in questa recensione di spiegarvi quanto impatto ebbe su di me leggere questa storia.
Già solo il fatto che la protagonista si chiamasse Elisa come la sottoscritta, era per me grande fonte di entusiasmo, impersonificazione e aspettativa, poiché necessitavo, dato il mio carattere sognatore e bisognoso di conferme, di sentirmi necessaria e di essere migliore: in breve, una valida eroina!
Aspettative confermate!
Questa fiaba ha tutti gli elementi che servono per riempire di battiti il cuore, dai più grandi ai più piccini.
Elisa ha undici fratelli ai quali è profondamente dedita e legata, e quando il Re padre prende in sposa una matrigna cattiva la nostra protagonista affronterà innumerevoli prove tra cui la più spaventevole, grande: la separazione. La famiglia si romperà e un incantesimo si abbatterà su gli undici principi, trasformandoli in eleganti, muti, cigni selvatici.

“Come poteva proseguire? Cominciò a guardare gli innumerevoli ciottoli che si trovavano sulla spiaggia, l’acqua li aveva tutti levigati, vetro, ferro, pietra, tutto quello che era stato depositato sulla spiaggia era stato levigato dall’acqua, che pure era molto più delicata della pelle delle mani!
“L’acqua è instancabile nel suo lavoro e così riesce a smussare gli oggetti più duri; anch’io voglio essere altrettanto instancabile! Grazie per quanto mi avete insegnato, chiare onde fluttuanti; un giorno, me lo dice il mio cuore, voi mi porterete dai miei cari fratelli!”

Hans C. Andersen è un maestro dei buoni sentimenti.
Con uno stile calmo, meticoloso, inonda la nostra fantasia d’immagini ed eventi straordinari aventi come fulcro l’amore, il sacrificio, il coraggio e la fede. Egli si prodiga per trasmetterci emozioni pure e incantevoli, una visione gentile dove il male viene schiacciato dal bene. I sentimenti come reali protagonisti; i personaggi per quanto descritti sommariamente sono sfuggenti rispetto al reale svolgersi della trama. Elisa è bellissima ma non ha tratti somatici, la matrigna, il re non hanno volto.
Vi appare invece la metamorfosi dei fratelli, simbolo del divenire, della crescita e della lotta contro le avversità. Nessuna persona che legga questa storia non può non crogiolarsi nel fascino e sentire il coinvolgimento positivo che emana.

“Il matrimonio venne celebrato; l’arcivescovo in persona dovette cingere con la corona il capo di Elisa e di proposito gliela calzò troppo sulla fronte perché le facesse male; ma su di lei gravava una pena ben più pesante, il dolore per i suoi fratelli, e non sentì affatto la sofferenza fisica. La sua bocca restò muta, una sola parola avrebbe infatti ucciso i fratelli, ma nei suoi occhi c’era un profondo amore per il buon re, che faceva di tutto per renderla felice.
Ogni giorno egli le voleva più bene; oh, se solo avesse potuto confidarsi con lui, dirgli la sua pena! ma doveva rimanere muta, muta doveva compiere il suo lavoro.”

Nonostante si possa pensare che in una favola tutto lo svolgersi dell’intreccio sia edulcorato, sappiate che non è così: Andersen sapeva benissimo cosa fosse il dolore (data la sua storia personale), tant’è che la prova da superare di Elisa fu davvero terribile non solo a livello fisico ma anche per il taciturno necessario sacrificio che poteva compromettere la stessa felicità della nostra eroina: un grande sacrificio, ma per un bene ancora più grande. È difficile spiegare quali pensieri si sono scatenati nella mia mente di bambina, ma l ‘esempio di Elisa mi aveva talmente ispirata che probabilmente ne ho fatto una missione di vita. Ho scelto la gentilezza e la compassione per il prossimo in quel momento e probabilmente, sto aspettando ancora il mio personalissimo happy ending.
Il dualismo sacrificio-ricompensa, la metamorfosi, il richiamo al modo animale e la fede nella provvidenza, la finale sconfitta dell’odio attraverso l’amore, sono così profondi e formativi che credo siano i tratti principali che hanno fatto divenire Andersen il grande favoliere che conosciamo.

Il nostro giudizio:


TramaVoto 5


StileVoto 5


PiacevolezzaVoto 5


CopertinaVoto 5


Voto finaleVoto 5

Hans Christian Andersen: autore di I CIGNI SELVATICI

(Odense 1805 – Copenaghen 1875) scrittore danese. Di umile origine (il padre faceva il ciabattino, la madre finì in un ospizio per alcolizzati), nel 1819 si stabilì a Copenaghen, dove poté studiare danza e canto e poi frequentare l’università grazie a protettori generosi, come il musicista italiano G. Siboni e specialmente J. Collin. Ma la sua restò la preparazione di un autodidatta d’ingegno, alimentata da avidissime letture; importante il precoce contatto con la narrativa di E.T.A. Hoffmann. Il suo esordio letterario ufficiale avvenne nel campo drammatico con Agnese e l’uomo del mare (1833-34), ma già nel 1829 A. aveva preso a pubblicare, sul modello di Heine, diari e taccuini di viaggio (attività ripresa anche negli anni dominati dalla produzione favolistica, per es. con Il bazar d’un poeta, 1842). Nel 1835, col romanzo L’improvvisatore, storia di una gioventù stentata come la sua, lo scrittore pervenne finalmente alla notorietà. Ma a renderlo celebre in tutto il mondo, e tradotto in più di trenta lingue, saranno le Fiabe: la prima raccolta risale al 1835-37, altre seguirono negli anni 1844-45, 1858-66 e successivi sino al 1872, per un totale di 156 fiabe. Le fiabe più antiche (Il compagno di viaggio, Il piccolo Claus e il grande Claus, I cigni selvatici) risultano derivate da motivi della tradizione popolare scandinava, ma poi A. si volse decisamente alla fiaba letteraria, utilizzando materiali disparati (Gli abiti nuovi dell’imperatore viene, per esempio, dalla Spagna). Espresse così – in una lingua svariante dai genuini modi quotidiani a raffinatezze persino leziose – ora il sopramondo della féerie (La collina degli elfi, Il folletto Serralocchi), ora l’idillio della natura (L’abete, I fiori della piccola Ida, Il rospo, L’usignolo) e addirittura certi rapporti arcani che egli sapeva cogliere tra gli oggetti più prosaici (L’ago da rammendo, Il vecchio fanale, La goccia d’acqua, Gli stracci). Parecchie fiabe tradiscono spunti autobiografici, come La sirenetta o L’intrepido soldatino di stagno o La pastorella e lo spazzacamino, che contrappongono al sogno la tenace malinconia della vita vera e alludono alle delusioni amorose dello scrittore. La matrice autentica di queste fiabe risiede tuttavia nell’ambizione di sostituire al mondo dell’esperienza una sorta di copia o d’automatico facsimile, che però non si costituisce in realtà autonoma, giacché l’autore ne mostra spietatamente il carattere labile e ambiguo: il povero soldatino mette in caricatura il tronfio orgoglio militaresco, ma anche lui non combatterà «altre» battaglie, finirà liquefatto, dissolto. Collocata in questo contesto, l’ispirazione di A. appare essenzialmente religiosa, e di una religiosità più attenta ai segnali della morte che a quelli della salvezza. Anche il lieto fine, quando c’è, rischia di suonare reversibile: la felicità del «brutto anatroccolo» trasformato in cigno serve a capire che la felicità vera era poi quell’altra, di quando guazzava nel fango, vicino alle radici del mondo.