POTEVO AVERE GLI OCCHI A MANDORLA

di Tullio Colombo

“Potevo avere gli occhi a mandorla” di Tullio Colombo
Editore: Independently published
Genere: Romanzo storico
Pagine: 181
Data di pubblicazione: 1 novembre 2020

Cari amici oggi abbiamo il piacere di presentarvi la nostra recensione al libro “Potevo avere gli occhi a mandorla” di Tullio Colombo, un romanzo storico che ci racconta la storia del suo papà Vincenzo e di come dopo aver combattuto a fianco dei tedeschi li trovasse migliori degli italiani che reputava un popolo di farabutti.
Una voce sicuramente fuori dal coro ma che può aiutarci a riflettere e ad interrogarci ancora una volta sugli avvenimenti della seconda guerra mondiale.
Buona lettura!

a cura di Manuela Morana

Sinossi di POTEVO AVERE GLI OCCHI A MANDORLA

Nel dicembre 1943, Vincenzo Colombo risponde alla chiamata alle armi per evitare rappresaglie contro la sua famiglia. Crede di fare la cosa giusta, inconsapevole di stare per commettere, invece, il più grave errore della sua vita. Un’educazione fascista, un padre in Cina, i timori postbellici, qualche amore giovanile e poi l’incontro con la futura moglie sono gli ingredienti di una vita normale, tenacemente vissuta dalla parte sbagliata. “Potevo avere gli occhi a mandorla” è il racconto di un figlio alla scoperta dell’intimità nascosta di un padre, è l’eredità morale di un’intera generazione di sconfitti, un tassello da inserire nel puzzle della memoria controversa di un popolo ancora diviso, ed è anche un confronto con le memorie familiari di Christine, l’amica e collega tedesca, durante un week-end berlinese denso di rievocazioni e complicità inaspettate.

Recensione

“Potevo avere gli occhi a mandorla” è un libro senza dubbio particolare e fuori dagli schemi. Siamo abituati a sentirci raccontare la seconda guerra mondiale dal punto di vista dei vincitori e degli eroi di guerra, i partigiani e gli alleati ci hanno liberato dal fascismo e dal nazismo e hanno ridato speranza a un’Italia che per lungo tempo era totalmente sottomessa al regime.
Quegli uomini coraggiosi hanno rischiato la vita e spesso l’hanno persa per consentirci di diventare un paese democratico, un paese libero, nel quale tutti possono esprimere il loro punto di vista. Questo libro invece ci racconta il punto di vista di chi, per anni indottrinato dalla propaganda del Duce, non è riuscito a vedere con chiarezza ciò che aveva davanti ai propri occhi.

Mia nonna è nata nel 1941 e non aveva molti ricordi della guerra, solo ciò che le avevano raccontato, mio nonno, del 1930, invece di quegli anni ricordava la fame, la miseria, l’impossibilità di trovare cibo e le tante notti passate a patire i crampi allo stomaco.
Sono sempre stata molto curiosa e ho sempre amato le storie, per questo ho chiesto anche alle sorelle e ai fratelli più grandi dei miei nonni di raccontarmi i loro ricordi dell’epoca, erano tutti bambini piccoli all’epoca dei fatti.
Mi raccontavano che a scuola avevano l’uniforme, che doveva essere sempre tenuta pulita e in ordine, e che organizzavano delle parate in onore del Duce durante le quali dovevano stare per molto tempo in piedi in file perfette senza mai fiatare o chiedere di andare in bagno e questo metteva loro molta ansia perché avevano paura di essere puniti, avevano inoltre degli slogan da ripetere meccanicamente e di continuo, gli stessi che ho ritrovato in questo libro:

Poi mia madre ricordava le adunate delle Giovani Italiane e alcune frasi mussoliniane entrate negli automatismi mentali dei ragazzini educati in quel periodo: «Credere, obbedire, combattere». Oppure: «È l’aratro che traccia il solco e la spada lo difende». O anche: «Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi».


Mi chiedo se quei bambini, cresciuti a fame e indottrinamento, fossero davvero responsabili o colpevoli di credere in Mussolini e quanto fossero consapevoli di cosa significava essere fascisti. Sinceramente penso che non ci capissero molto e avessero solo tanta paura di ricevere punizioni, del resto, se penso a me bambina, ricordo perfettamente che non m’importava nulla della situazione politica e al massimo ripetevo come un pappagallino quello che sentivo dire agli adulti senza aver la benché minima idea di cosa significasse. Inoltre anche per i loro genitori i tempi erano davvero molto diversi, non si poteva parlare apertamente dei propri ideali e se venivi scoperto a parlar male del fascismo, beh, quelle potevano essere le ultime parole che pronunciavi.
C’era paura, c’era terrore, c’era disperazione, c’era voglia di proteggere le proprie famiglie e di continuare a vivere.

C’erano anche eroi, coraggiosi e pronti a morire per difendere il nostro paese, c’era la resistenza, c’erano i partigiani che spesso morivano senza che venisse loro data una degna sepoltura e senza che si sapessero nemmeno i loro veri nomi.
Ma c’erano anche le persone che non hanno avuto lo stesso coraggio, quelli che si sono fatti plasmare, manipolare e che hanno perso la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato.
Questi ultimi per anni sono stati visti come traditori e nemici della Patria ma forse sono stati anche vittime, vittime di un sistema che ha danneggiato le loro capacità intellettive, incapaci di riconoscere tutto il male perpetuato da fascisti e nazisti perché per troppo tempo abituati a ripetere motti ed educati sin dalla più tenera età ad elogiare chi doveva essere scacciato e condannato.

Ma questo non significa che vincitori e vinti siano sullo stesso piano, fascismo e nazismo hanno commesso atti che non dimenticheremo mai, atrocità che sono inimmaginabili, la narrazione di “Potevo avere gli occhi a mandorla” ci serve per raccontarci la storia da un altro punto di vista, meno conosciuto ma non per questo meno reale, e come ogni libro che parla del secondo conflitto mondiale ci serve per imparare dagli errori di chi è vissuto prima di noi in modo da diventare noi persone migliori, più attente, più capaci di distinguere il bene dal male e fermare il male prima che si diffonda e possa replicare gli eccidi del passato.

È per questo che mi trovo perfettamente d’accordo con Giannino Piana, docente di Etica cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Università di Urbino e docente di Etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, che ha scritto la prefazione al libro “Potevo avere gli occhi a mandorla” e ci permette di capire la particolarità di quest’opera, scrive infatti che:

Si tratta dell’invito a dilatare gli spazi della memoria, includendo, accanto ai vincenti, i vinti non certo per mettere tutti sullo stesso piano […] ma riconoscendo che anche questi ultimi fanno parte della storia della nostra nazione e che anche da loro può venire un’importante lezione, quella a non ripetere gli errori del passato. Si tratta poi soprattutto dell’invito a non dimenticare, nel segno di una autentica pietas, quella lunga schiera di vite spezzate di giovani, che si illusero di servire la Patria combattendo dalla parte sbagliata.
[…]
Anche i peggiori carnefici hanno avuto figli e familiari che li amavano. Guardai l’inchiesta con estrema curiosità: gran parte degli intervistati erano persone psicologicamente provate, ma nessuno tentava di giustificare le azioni di genitori e congiunti. Com’era possibile amare un carnefice? «Quel criminale era pur sempre nostro padre» diceva qualcuno.


“Potevo avere gli occhi a mandorla” è un libro che mi ha fatto molto riflettere perché, se è vero che le guerre vengono raccontate sempre dal punto di vista dei vincitori è anche vero che, non si può eliminare per sempre il ricordo di ciò che pensava e provava chi ha perso.
È altrettanto vero, inoltre, che la guerra fa ribrezzo, ma proprio tanto, e per sua natura è caratterizzata da atti atroci e ingiusti e non importa se combatti dal lato dei buoni o dei cattivi, probabilmente mentre sei in battaglia qualche atto veramente inumano lo commetti lo stesso.
Anche se sei buono, anche se combatti per la libertà e stai dalla parte giusta probabilmente ti ritrovi a trucidare persone che si sono arrese o a fare del male a donne e bambini che rappresentano il bene più prezioso per il tuo nemico.
Non fatico a credere, e del resto basta fare qualche semplice ricerca per averne conferma, che anche i partigiani, che avranno sempre la mia eterna gratitudine e la mia completa stima, possano aver fatto cose sbagliate, delle quali si saranno pentiti, ma durante una guerra entrano in ballo troppi fattori: la paura, la rabbia per ciò che hai visto, il fatto che possibilmente il nemico ha distrutto la tua casa, la tua famiglia, ha ucciso i tuoi compagni e quindi anche l’uomo migliore può lasciarsi prendere la mano e diventare crudele perché cerca vendetta e giustizia. In guerra tutti diventano assassini e i morti alla fine non hanno più colore, sono solo vittime, vite spezzate che nessuno ci restituirà ed è per questo che è fondamentale il valore della “memoria”, il ricordare e tramandare gli eventi per fare in modo che non si ripetano mai più.

Il libro, scritto da Tullio Colombo, ci parla brevemente sulla vita di suo nonno, Enrico, un costruttore aeronautico che partì per la Cina e aveva pensato di trasferirsi lì con tutta la famiglia, da qui il titolo “Potevo avere gli occhi a mandorla” per poi ripercorre passo passo la vita di suo padre, Vincenzo, che è il vero protagonista della storia.
Tullio ci racconta con affetto e obiettività prima la sua infanzia e la sua adolescenza con il suo trasferimento a Novara, per poi passare ai fatti di guerra e al dopoguerra con tutte le difficoltà connesse al ritorno ad una vita normale. La sua narrazione non è di parte, non giustifica, non cerca scusanti ma si pone moltissime domande interessanti che sono un valido spunto di riflessione per ogni lettore.
La narrazione è sincera, fluida e semplice, e ben presto ci si rende conto che in questo libro non manca nulla: emozioni, impressioni, esperienze, vissuti quotidiani che possono sembrare a volte insignificanti ma che, in fondo, sono la vera storia della vita di ognuno di noi e ancora chiamate alle armi e abbattimenti di aerei alleati, che fecero guadagnare a Vincenzo prima la Croce tedesca al merito e poi i gradi di caporale, storie di fratelli che compiono scelte sbagliate e mettono a repentaglio la propria vita e quella di tutta la famiglia, l’ira e il disprezzo dei vicini, lasciapassare provvidenziali e infine la morte che più e più volte ha sfiorato il nostro protagonista facendolo tremare.

Una cosa che ho apprezzato moltissimo è l’inserimento di moltissimi reperti fotografici del tempo che ci aiutano a vedere con i nostri occhi le cose delle quali stiamo parlando, queste foto d’epoca sono un vero e proprio patrimonio culturale da proteggere e tramandare con amore.
“Potevo avere gli occhi a mandorla” è, come lo definisce lo stesso autore, un “fifty-fifty” tra un trattato di storia e un romanzo, racconta fatti veri, sempre nel rispetto della privacy altrui, ma lo fa all’interno di un lungo confronto tra Tullio e la sua collaboratrice Christine, giovane tedesca che rappresenta un valido esempio di come si possano subire, ancora ai giorni nostri, pregiudizi basati sul fatto di essere considerati “discendenti di Hitler” per il semplice fatto di essere tedeschi anche se i propri genitori sono nati anni dopo il secondo conflitto mondiale e hanno sempre condannato i fatti commessi dai nazisti.

Questo romanzo è una cronaca di vita vera, è un racconto di ciò che dev’essere stata la vita di tantissimi italiani che dopo essere stati alleati dei tedeschi si sono ritrovati improvvisamente a combatterli, un voltafaccia che per alcuni è stato inspiegabile. È un libro che nella sua semplicità ci mostra l’altra faccia della medaglia, quella che forse troppo a lungo è stata ignorata, ed è sicuramente un’opera che arricchiste il lettore dal punto di vista umano portandolo a immedesimarsi con chi finora ha sempre condannato aspramente.
Sinceramente mi sento di consigliarvi la lettura di “Potevo avere gli occhi a mandorla” e mi piacerebbe che fosse letto anche nelle scuole in modo da creare un dialogo e un dibattito vivo e costruttivo su quanto la guerra sia sempre una cosa sbagliata, non importa da che parte combatti, se si combatte perdiamo tutti, perde l’intera umanità perché con la violenza, con le armi, con il terrore vincono solo la morte e la distruzione.

Il nostro giudizio:


TramaVoto 5


StileVoto 5


PiacevolezzaVoto 5


CopertinaVoto 4


Voto finaleVoto 4,5



Si ringrazia l’autore per averci cortesemente fornito il materiale.