SI CHIAMAVA MATHILDE

di Yannick Roch

“Si chiamava Mathilde” di Yannick Roch
Editore: Les Flâneurs Edizioni
Genere: Giallo
Pagine: 168
Data di pubblicazione: 20/01/2022

Cari lettori, dopo aver letto “Il Maestro dei morti” (qui il link per la nostra recensione), primo giallo di Yannick Roch, aspettavo con ansia il seguito delle avventure di Renard e Tortue, i due investigatori parigini protagonisti del romanzo.
Beh, finalmente l’attesa è terminata: oggi vi parleremo infatti della seconda fatica letteraria di Roch dal titolo “Si chiamava Mathilde”.
Stessi comprimari, stessa affascinante atmosfera della Parigi anni ’30 del secolo scorso: siete pronti per un misterioso viaggio a ritroso nel tempo?
Allora buona lettura!

a cura di Pamela Mazzoni

Sinossi di SI CHIAMAVA MATHILDE

Tra i melodiosi boulevard parigini negli anni Trenta, la vita della pianista prodigio Mathilde Levannier è completamente assorbita dagli spartiti, dai concerti e dalle rigide aspettative familiari fino a quando, poco prima del suo debutto nella prestigiosa Salle Gaveau, “La Fatina dalle mani d’avorio” improvvisamente scompare.
Lo studio investigativo di Renard e Tortue dovrà adesso essere pronto ad affrontare, dopo la risoluzione del caso nel primo romanzo poliziesco “Il Maestro dei Morti”, una nuova e intricata indagine ambientata nell’affascinante e spietato mondo della musica classica.

Recensione

La giovane Mathilde Levannier non è una ragazza qualunque e non può permettersi una vita spensierata, come invece dovrebbe essere alla sua età: lei ha un dono meraviglioso, che per alcuni versi è però anche una maledizione.
Mathilde è infatti una talentuosa pianista e la sua già avviata carriera e la conseguente notorietà richiedono un pegno gravoso: tanta dedizione, tanto studio e nessuna distrazione.
Ergo, non sono contemplati né divertimenti, né amici né tantomeno un fidanzato.

«Mathilde non è una che ha amici. Da quando suo padre ha scoperto il suo talento, la tiene rinchiusa qui ed è stata istruita solo da dei precettori che sono costati una vera fortuna.
Quando non studiava veniva Donatien, il maestro di musica con il quale passava alcune ore ogni giorno. Studio e musica, musica e studio, ecco cos’è stata la gioventù della signorina».

Nonostante il controllo a cui è continuamente sottoposta, specialmente da parte del padre che la tiene sotto una campana di vetro, Mathilde scompare: un rapimento a scopo di estorsione o un modo per boicottare il suo prossimo, e importantissimo, concerto?
O addirittura qualcosa di peggio?
È qui che fanno la loro trionfale entrata i nostri irresistibili investigatori privati: il diretto e poco diplomatico Renard, provvisto di un innegabile istinto ma spesso incline a sotterfugi e Tortue, invece pieno di tatto e quindi perfetto per mettere una salvifica pezza alle cadute di stile del socio e che in questo romanzo stupisce con lampi di genio notevoli, un po’ più mente e non solo braccio della premiata coppia.

Tortue guardò il suo socio con stupore e disprezzo, poi disse a bassa voce: «Ma non è vero! Vedrai che un giorno tutte queste bugie ti si ritorceranno contro! Ma come diavolo hai fatto a procurarti quella…? Se lo venisse a sapere Lequ…».
«Ancora non hai capito? Il nostro non è un mestiere fatto di persone brave e buone che giocano a guardie e ladri: un vero investigatore non ha nessun rimorso a infrangere la legge, utilizzare sotterfugi o immergersi nel mare dell’illegalità, se vuole fare bene il proprio lavoro. Quel deficiente di Lequeuf non lo saprà mai, vero?» sbuffò seccamente Renard.
«Va bene…» sospirò Tortue «ma non sono sicuro di tirarti fuori dai guai, semmai ti facessi scoprire un giorno o l’altro».

Con l’avvio dell’indagine, in concomitanza a quella ufficiale seguita dall’ispettore Lequeuf che con Renard ha dei conti in sospeso, ha inizio anche un gioco di fumo e specchi che depista il lettore, anche quello più attento: nessuno è quello che sembra, tutti impegnati come sono a mostrare il lato migliore.
Ma grattando la superficie appare ben altro.

Mathilde, la dolce, diligente e solitaria ragazza che tutti descrivono è davvero così innocente?
Aristide, il suo amorevole padre, protegge la figlia o soltanto ciò che lei rappresenta sotto forma di denaro sonante?
E i suoi due soci sono semplicemente gli stimati professionisti che sembrano o lupi travestiti da pecore?
Ma anche Bastien, geniale violinista che suona con Mathilde, dà da pensare, con la sua vita dissoluta da tipico bohémien del periodo e l’atteggiamento cinico. Soltanto un vezzo da artista o c’è qualcosa di vero?
E che dire della sfuggente e misteriosa Mireille, l’unica amica di Mathilde, che però non perde occasione per mortificarla e trattarla male…

E poi tutti gli altri, tanti tasselli che si incastrano alla perfezione, a formare un puzzle intrigante e avvincente e la cui caratterizzazione precisa e dettagliata rende interpreti sopraffini delle variegate miserie umane.
C’è chi è tenuto prigioniero dai fantasmi del passato: anima pura e fragile devastata dal dolore e dai sensi di colpa; chi conosce soltanto la cupidigia: anima cupa arida di emozioni, che calpesta i sentimenti in nome del dio denaro; o ancora chi, mosso da un infantile narcisismo, persegue il fine di dimostrare il proprio valore in una perenne competizione: anima non per questo malvagia, ma talmente incentrata sul proprio ego da perdere di vista la realtà.

Roch ha uno stile molto particolare ed evocativo: possiede infatti la capacità di trasportare il lettore nel passato tra i vicoli della Ville Lumiere, tra gli odori e i colori della città simbolo del risveglio culturale e artistico durante il periodo conosciuto come “les années folles”. La trama di “Si chiamava Mathilde” è ben orchestrata e la narrazione molto scorrevole, tanto che risulta difficile sospendere la lettura, che infatti mantiene un ritmo sostenuto fino all’epilogo, capace di sciogliere tutti i nodi e ristabilire, almeno in parte, gli equilibri.
Come già nel precedente romanzo l’autore tiene in alta considerazione le figure femminili che, a differenza dei personaggi maschili con i quali Roch non è affatto magnanimo e per questo si collocano di diritto nei vari gironi dell’inferno, sono invece trattate con ossequioso rispetto, a prescindere dalla loro personalità: sono delineate con così tanta delicatezza dall’autore infatti che nasce spontaneo un moto di forte empatia nei loro confronti.
Mi sono talmente calata nell’ambientazione parigina da rispolverare il mio pessimo francese, chiedendo però preventivamente venia all’autore che questa lingua la conosce bene essendo nato proprio in Francia, congedandomi da voi e da “Si chiamava Mathilde” con un “à la prochaine aventure de Renard et Tortue!”

Il nostro giudizio:


TramaVoto 5


StileVoto 5


PiacevolezzaVoto 5


CopertinaVoto 5


Voto finaleVoto 5



Si ringrazia la casa editrice per averci cortesemente fornito il materiale.