BLOG TOUR – UNA STORIA BUIA – IL CONTESTO SOCIALE E CULTURALE: LA SICILIA

di Ivan Collura

“Una Storia Buia” di Ivan Collura
Editore: O.D.E edizioni
Genere: Narrativa
Pagine: 350
Edizione: 27 gennaio 2021

Carissimi amici lettori ecco a voi la nostra tappa del Blog Tour al libro “Una storia buia” di Ivan Collura, pubblicato dalla O.D.E edizioni lo scorso 27 gennaio.
La nostra tappa si occupa di illustrarvi la difficoltà del contesto sociale e culturale: la Sicilia, ho scelto di analizzare con voi questo aspetto perché, come i protagonisti del libro, sono siciliana e quindi ho pensato di essere la persona giusta per contestualizzare il periodo storico e dimostrare che un’altra scelta è sempre possibile.
Personalmente amo la mia terra e mi fa sempre molto piacere parlarne e aiutare chi non ci vive a capirla, conoscerla e soprattutto rivalutarla.

Buona lettura!

a cura di Manuela Morana


IL CONTESTO SOCIALE E CULTURALE: LA SICILIA

Per prima cosa va detto che “Una storia buia” è un libro è ambientato negli anni ’90, in una Sicilia che era molto diversa da quella dei giorni nostri.
Alcuni cancri fortunatamente sono stati ormai quasi del tutto estirpati ma altri, purtroppo, si sono diffusi con la velocità di un incendio che divampa.
Infatti gli episodi di bullismo e, ancor più, il coinvolgimento con il traffico di droga e armi, che sono il perno della nostra storia, sono ormai una macchia che si allarga in buona parte del nostro pianeta.
Gli anni ’90 in Sicilia sono stati un periodo folle, davvero, è impossibile non andare con il pensiero ai numerosissimi morti per mano mafiosa: uomini innocenti, donne, bambini. Chiunque poteva trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato e pur essendo cittadini onesti e per nulla immischiati in quella “montagna di merda” che è la mafia. Potevi uscire una mattina per andare a scuola o a lavorare o semplicemente a fare la spesa e non tornare più a casa.

Sono stati anni bui per la mia terra, anni di paura, di omertà, di cose che non si aveva il coraggio di denunciare, di persone da “rispettare”, che poi che parola buffa da usare…
Scelta davvero poco opportuna perché i cittadini onesti e le persone per bene non provavano alcun “rispetto” per quegli esseri privi di scrupoli, malvagi e corrotti.
Al massimo si provava paura, quella sì, ma come diceva Giovanni Falcone:
“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.”

Alcune persone sono riuscite a non farsi condizionare dalla paura e purtroppo spesso la loro vita ha avuto un tragico epilogo: CARLO ALBERTO DALLA CHIESA, PEPPINO IMPASTATO, BORIS GIULIANO, PIERSANTI MATTARELLA, DON PINO PUGLISI, PAOLO BORSELLINO, GIOVANNI FALCONE, ROSARIO LIVATINO, RITA ATRIA, solo per citare alcuni dei nomi più noti.
Ma credetemi quando vi dico che sono veramente tantissime le vittime uccise per mano mafiosa e meritano tutte, indistintamente, un doveroso e sentito ringraziamento per aver avuto il coraggio di ribellarsi a un sistema governato da prepotenti e malavitosi.
In fondo esiste anche una correlazione immediata e semplicissima tra il bullismo e la mafia, semplicemente non ci soffermiamo a pensarci ma, se analizziamo entrambi i fenomeni notiamo subito che si basano su persone che si credono forti solo quando riescono a sottomettere e ad umiliare il prossimo. I mafiosi e i bulli sono solo dei prepotenti, si è questa la parola giusta, entrambe le categorie condividono questo tratto della loro “personalità”. Si sentono invincibili, migliori di chi li circonda ma in verità sono solo dei vili, degli impostori, delle persone che si creano un personaggio, indossano una maschera e spesso sotto di essa non c’è niente, perché questa gente è niente, è vuoto, è codardia ben celata.

Gli anni ’90 sono stati uno spartiacque in Sicilia, la “vecchia mafia” ha cominciato a scontrarsi con la “nuova mafia”, gli esponenti della prima che si definivano “uomini d’onore” (cosa che non solo non hanno mai avuto, ma sinceramente dubito persino che conoscessero il vero significato di questa parola) volevano restare fuori dal mercato della droga, gli esponenti della seconda, solitamente più giovani e maggiormente proiettati al guadagno di somme importanti, invece erano grandi sostenitori di queste “novità” e volevano essere certi di accaparrarsi la propria fetta di mercato.

Esattamente in questo contesto si inserisce questo libro, i protagonisti sono infatti i primi ad avviare un importantissimo mercato di spaccio, a creare laboratori per sintetizzare la droga e a prendere accordi per commerciarla e allo stesso tempo a non voler far scoprire di essersi immischiati con droga e stupefacenti ai propri genitori e suoceri perché sanno perfettamente che questo non sarebbe stato visto di buon occhio dalla vecchia guardia.
In “Una storia buia” assistiamo quindi a un vero e proprio tradimento dei valori tradizionali della famiglia mafiosa intesa come gruppo nel quale il padre è il boss indiscusso, l’unico che può prendere le decisioni e al quale bisogna ciecamente obbedire.
I nostri tre giovani riusciranno a essere così “furbi” da non farsi mai scoprire e ad arricchirsi sempre di più o la famiglia interverrà per fermali?

Ma, soprattutto, l’aspetto sul quale mi voglio concentrare insieme a voi è questo: possiamo davvero dire che il semplice fatto di essere nati in un contesto degradato, di essere figli di mafiosi, di frequentare ambienti e amicizie sbagliate bastano davvero a giustificare la strada che questi ragazzi hanno imboccato?
Davvero non potevano far altro che trasformarsi a loro volta in delinquenti?
Davvero la loro strada era così nettamente tracciata e il loro destino era così ineluttabile?

IO DICO NO!

Anzi non mi limito a dirlo, lo urlo proprio, perché certe cose non le puoi mormorare sotto voce, no, le devi urlare forte e chiare, devi avere il coraggio di esporti e gridarle al mondo intero.
Tra i vari nomi che vi ho elencato poco fa, adesso vorrei portare alla vostra attenzione quelli di due giovani:
Rita Atria, giovanissima testimone di giustizia morta a soli 17 anni e disconosciuta dalla sua stessa madre. Lei proveniva proprio da una famiglia mafiosa ma, dopo aver visto morire prima suo padre e poi suo fratello, ha deciso di rinnegare quel tipo di vita. Dopo la morte di Borsellino, al quale aveva raccontato tutto ciò che sapeva della mafia, si è sentita persa e abbandonata ma ha affermato una verità importantissima e fortissima: “Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi”.

L’altro personaggio del quale voglio parlavi è Peppino Impastato, giornalista italiano morto a 30 anni. Anche lui nato in una famiglia mafiosa e anche lui con il coraggio di ribellarsi al suo stesso sangue per seguire la verità e la giustizia.
Nel 1975 crea Radio Aut, una radio libera autofinanziata e la usa come arma di denuncia: parla degli affari e dei delitti dei mafiosi del posto, della devastazione del territorio locale ad opera dei mafiosi ai quali interessa solo speculare, degli scambi di droga che avvengono sfruttando l’aeroporto di Punta Raisi.
Alla sua vita è dedicato un bellissimo film dal titolo “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, il titolo è estremamente evocativo e forte perché 100 passi erano esattamente la distanza che separava casa di Peppino da quella del boss mafioso Tano Badalamenti, tutti sapevano chi fosse quest’uomo e cosa facesse nella vita ma nessuno parlava, nessuno aveva il coraggio di ribellarsi al suo potere fino a che non è arrivato Peppino. Vi consiglio vivissimamente di guardarlo per imparare a conoscere e ad apprezzare un giovane siciliano del quale purtroppo si parla sempre troppo poco e ne approfitto per lasciarvi una sua citazione:
“Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene!Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda. Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi, prima di abituarci alle loro facce, prima di non accorgerci più di niente”.

Concludo dicendovi che forse non tutti sanno che il 21 marzo di ogni anno è la giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, un giorno importante per esercitare la memoria e ricordarci delle tantissime persone che hanno perso la loro vita nella lotta alla mafia. Una giornata nella quale è importante ringraziare uno per uno tutti loro perché è grazie al loro coraggio se noi oggi possiamo girare sicuri per le nostre strade, se possiamo denunciare chi chiede il pizzo, se possiamo finalmente camminare a testa alta e non essere più omertosi e spaventati. Oggi tanti ragazzi hanno raccolto la loro eredità ideale e fanno volontariato in Sicilia per combattere il fenomeno mafioso, io per prima ho avuto il grande privilegio ed onore di far parte di Addiopizzo Catania ma esistono tantissime altre realtà simili come Libera, Fondazione Borsellino, Fondazione Falcone, FAI (Federazione delle associazioni Antiracket Italiane), ecc. tutti posti nei quali è possibile impegnarsi concretamente e quotidianamente per combattere la mafia, cambiare il presente e ricordare i giusti senza mai dimenticarci che il loro sacrificio ci ha donato la libertà e niente è più importante della possibilità di essere liberi e fieri delle nostre origini e delle persone che ci hanno preceduto. La Sicilia è una terra meravigliosa, ricca di cultura, bellezza e meravigliosi esempi da seguire, ed è per questo che nei cuori e nelle menti di tutti i siciliani onesti riecheggia imperituro il motto:
“Non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe!!!”

Grazie per avermi accompagnata in questo viaggio, spero di avervi fatto conoscere una Sicilia diversa da quella presente nei pregiudizi di molti e diversa da quella raccontata in questo romanzo, la Sicilia una terra piena d’amore e passione, di storia e sete di giustizia e se le darete la possibilità di farsi conoscere vi giuro che non potrete fare a meno di amarla profondamente.