L’UCCELLETTO

di Robert Frost

Benvenuti al nostro appuntamento con la poesia.
Oggi proponiamo il commento della poesia L’uccelletto ” di Robert Frost
Buona Lettura!

a cura di Elisa Mazza

L’uccelletto

Proprio ho sperato che volasse via,
e non cantasse sempre davanti a casa mia;
gli ho battuto le mani dal limitare
quando non l’ho potuto più sopportare.


Mio in parte il torto dev’essere stato.
L’uccelletto non era stonato.
E qualcosa non va, qualcosa manca
in chi vuol far tacere uno che canta.

Parafrasi della poesia: L’uccelletto

Proprio ho sperato che l’uccellino volasse via e che non cantasse sempre davanti a casa mia; gli ho battuto le mani per allontanarlo, quando non potevo più sopportarlo.
Mio, in parte, era il torto. L’uccelletto non era stonato.
C’era qualcosa che non va, qualcosa che manca, in chi vuol far tacere uno che canta.

Commento della poesia: L’uccelletto

Vorrei parlare del peso dell’assenza. Il vuoto.
Robert Frost, con uno stile semplice e colloquiale, ci accoglie nelle sue riflessioni. Non so dirvi cosa mi sia preso in effetti, so però che leggendo L’uccelletto mi sono sentita trasportata lì, su un bel davanzale bianco, le mani raccolte dietro alla schiena, gli occhi semichiusi e aggrottati che cercano un cinguettare molesto fra le fronde di un albero bagnato di luce.
Credo che a volte lo squilibrio interiore sia così insopportabile dal non poter tollerare neanche un minimo di bellezza. Credetemi, il dolore mentre scava, muta e ci cambia, altera tantissimo le nostre percezioni; si congela in attimi infiniti di vuoto e ciò che può distrarre, una felicità che non è nostra e non ci spetta, può scatenare una frustrazione anomala, innaturale.
Accogliere il dolore è fondamentale per un processo di guarigione, farsi assorbire piuttosto che evaderlo e scansarlo, richiede coraggio. Frost ahimè, ha vissuto una vita molto difficile e costellata da malattie e lutti che colpirono la sua famiglia sia di provenienza che quella formatasi da adulto, quindi credo lo sapesse bene.
Anzi i suoi testi, così musicali e tranquilli, sembrano iniettare più speranza e sincera schiettezza, che dolore. Per quanto riguarda la musicalità devo purtroppo appuntare il fatto che essendo liriche tradotte dall’inglese all’italiano la reale forma e metrica si perdono, ma io trovo genuine, sentite, anche le nostre versioni.
Questa poesia è bella.
So che è un termine abusato, forse ritenuto superficiale e di poca inventiva, ma così mi sento, di fronte a qualcosa di bello, si realizza una sensazione di pienezza, non trovate?
L’uccelletto è un po’ nemico e un po’ amico, disturba con la sua melodica voce ma al contempo fa realizzare a che punto (del processo mentale) si trova in noi la realtà, la nostra realtà. Vero, ci si trova avvolti da un velo di tristezza, forse…
Ma quel velo, anche se stringe, pur sempre dal vento di qualcosa di più selvaggio, oscuro, ci ripara.
Delimita il vuoto, lo concentra e fa in modo che che si possa tenere stretto piuttosto che sia lui che ci inghiotta.
Non è mai facile spiegare cosa succede quando una parte di noi muore dentro, ma credo che anche scacciare un uccelletto possa essere un modo per “tirare avanti”.
Non ho ben in chiaro se posso esservi piaciuta, vi ho incuriosito, o se ho espresso qualcosa di logico o illogico: non me ne vogliate… ma in fondo l’arte della poesia è un po’ questa, un dialogo misterioso e infinito tra uomo, anima e natura!
Vi sorrido.

Robert Frost

(San Francisco 1874 – Boston 1963) poeta statunitense. Si formò nel New England, in un ambiente ancora rurale, in un solenne paesaggio che avrebbe presto eletto a provincia poetica. Lasciati gli studi, alternò, per vivere, i mestieri dell’insegnante e del coltivatore: una scelta sociale, questa della terra e del lavoro campestre, in cui trovò radici la sua poesia. Nel 1912, già sposato con figli, decise di tentare la fortuna letteraria in Inghilterra, dove, apprezzato dal giovane Pound, riuscì a pubblicare Testamento di un fanciullo (A boy’s will, 1913) e A nord di Boston (North of Boston, 1914). Grazie a questi primi successi poté tornare in America e continuare l’attività poetica; nel 1923 apparve New Hampshire; nel 1936 Di neve in neve (From snow to snow); nel 1942 Un albero testimone (A witness tree); nel 1947 Masque della Pietà (A masque of Mercy); nel 1962 Nella radura (In the clearing). Condusse una vita di stoica solitudine, nella quale l’esercizio poetico rappresentò la forma estrema di opposizione al nulla, all’esperienza della morte e dell’angoscia. Il grande tema dell’opera di F. – dalle prime, limpide liriche ai testi della maturità in cui si accentuano le note ironiche e moralistiche – è la tensione del rapporto uomo-natura, scavato tanto da rivelare le trame in cui s’intrecciano visibile e invisibile. Erede della tradizione di Esiodo e Orazio, ma anche del linguaggio di Emerson e di Emily Dickinson, F. trasferì nelle sue rigorose strutture metriche i suoni e i ritmi della parlata del New England, fondendo conversazione e dramma, gesto fisico e gesto verbale. Nei suoi versi le stagioni, viste non soltanto nella loro cangiante bellezza, ma anche nella loro tragicità, le figure umane isolate nella campagna, la luce abbagliante e l’ombra, gli animali, le piante, le erbe, vivono come per la prima volta.