Uno sguardo su: CHARLES BUKOWSKI

a cura di Rosa Zenone

charles bukowski

Bentrovati lettori col consueto appuntamento della nostra rubrica Penne D’Autore, ospite d’eccezione di questo mese è Charles Bukowski, il quale avrebbe spento 100 candeline il 16 Agosto.

Charles Bukowski è un autore controverso, ha fatto dell’eccesso il proprio marchio di fabbrica e di conseguenza nessuna via di mezzo appare mai circondarlo: è infatti uno scrittore che o lo si ama o lo si odia. Vi è da dire inoltre che sicuramente rientra anche tra le penne meno comprese di sempre, citato a sproposito quanto contestato senza validi fondamenti.

Provocatorio, sagace, cinico e dissacrante ha saputo distinguersi nel panorama letterario e lasciare la propria impronta, pur partendo dal basso e da una situazione massimamente svantaggiosa.

Bukowski detto Gambe d’elefante, il fallito. (Storie di ordinaria follia di Charles Bukowski)

Uno degli errori più comuni nell’accostarsi a Bukowski è tralasciare il contesto in cui è vissuto e che racconta, senza penetrare pienamente i testi ma fermandosi alla superficie e molto spesso ai luoghi comuni che lo attorniano; cercheremo di tracciare una rapida panoramica che sarà poi ulteriormente approfondita tramite le recensioni delle sue opere ogni lunedì di Agosto.

Henry Charles Bukowski nacque ad Andernach, in Germania, il 16 Agosto 1920, ma i genitori ben presto si trasferirono a Los Angeles, negli Stati Uniti, e sarà proprio qui che si svolgerà l’esistenza del nostro autore. Possiamo già inquadrare una prima difficoltà del nostro Hank, la difficile condizione di immigrato. Altro elemento da non sottovalutare è l’epoca, poiché egli nasce proprio a ridosso di quella che è passata alla storia come La grande Depressione segnata dal crollo di Wall Street del 1929, che mise in ginocchio la florida economia americana dando inizio a un periodo particolarmente buio.

Se molto spesso è consigliabile trascurare la vita personale e reale degli autori per non cercare forzate connessioni con le opere, ciò assolutamente non vale per Bukowski. Infatti tutti i suoi scritti sono profondamente biografici e narrano vicende che lo hanno riguardato da vicino, proprio la dismisura che le caratterizza d’altronde ha creato un’aura mitologica attorno alla sua persona e alle sue “imprese”. Risulta quasi impossibile sapere se esista una linea di demarcazione tra realtà e finzione, ma possiamo dire che la maggior parte delle situazioni narrate, anche le più assurde, sono avvenute e comprovate dalla loro ricorrenza e dalla menzione di altre fonti.

Bukowski si muove nel proprio spazio letterario e ne diviene protagonista attraverso la figura di Henry Chinaski, detto Hank, suo alter ego. Quest’ultimo infatti è quasi onnipresente nelle sue opere e il più delle volte ricopre il ruolo principale. Poiché la letterarietà e il biografismo, come già detto, in Bukowski coincidono quasi, tramite le sue opere possiamo apprendere molto dello stesso.

Libro imprescindibile per scoprire questo autore è Panino al Prosciutto (1982), di cui oggi ve ne presentiamo anche la recensione. Nel suddetto romanzo è narrata la vita di Hank Chinaski (Bukowski) sin dall’infanzia ponendo particolare attenzione al contesto familiare, alla crescita e alla società circostante.

Bukowski è stato definito appartenente alla corrente del “realismo sporco”, un movimento letterario che tende a rappresentare la realtà priva di orpelli, in modo crudo e talvolta selvaggio, nel nostro autore non vi è infatti spazio per atmosfere fiabesche rigoglianti ottimismo. Il suo sguardo seppure immerso nelle situazioni è estremamente lucido e trasparente, a mo’ di una cinepresa in grado di riprendere tutto ciò che vi si trova a tiro.

Non sono neppure un vero artista- sappi che sono una sorta di impostore- della specie che scrive dai visceri del disgusto quasi sempre. (Sullo scrivere di Charles Bukowski)

La scrittura di Bukowski è incisiva, acre e talvolta veemente, molto spesso la scarsa punteggiatura ne esprime la rabbia da cui scaturisce, ma non disdegna in alcun caso una certa punta di umorismo “tragicomico”. Al centro del suo mondo c’è la società americana e il fallimento del sogno americano, nei suoi scritti con potenza ne emergono le immense contraddizioni.

Dinanzi a tale contesto l’individuo entra in crisi, privo di qualunque baluardo di certezze, alla mercé di una società priva di valori per la quale vale meno di zero. In un mondo dove vige la violenza e a dettare legge è solo il potere economico, dove non esiste alcuna forma di altruismo, assistenzialismo e di buoni sentimenti, l’essere umano può o soccombere o lottare a denti stretti. Egli narra l’America vista dai margini, è il portavoce degli ultimi e dei reietti.

I suoi testi però sono anche in grado di scandagliare l’animo umano e le sue sfaccettature, in grado di esprimerlo e interpretarlo, grazie a numerosi spazi caratterizzati da un forte lirismo. La possibilità di rivedersi nelle sue parole è indubbiamente uno dei suoi più grandi punti di forza, nei nostri momenti di crisi Bukowski risulta un valido alleato e compagno.

Caddi in uno dei miei patetici periodi di chiusura. Spesso, con gli esseri umani, buoni o cattivi, i miei sensi semplicemente si staccano, si stancano: lascio perdere. Sono educato. Faccio segno di sì. Fingo di capire, perché non voglio ferire nessuno. Questa è la debolezza che mi ha procurato più guai. Cercando di essere gentile con gli altri spesso mi ritrovo con l’anima a fettucce, ridotta a una specie di piatto di tagliatelle spirituali. Non importa… Il mio cervello si chiude. Ascolto. Rispondo. E sono troppo ottusi per rendersi conto che io non ci sono. (Hollywood, Hollywood di Charles Bukowski)

Altri temi ricorrenti nella sua produzione sono indubbiamente le corse ai cavalli, gli sfrenati rapporti sessuali, l’assunzione smodata di alcol e le frequenti risse, insomma tutti quegli elementi la cui associazione con l’autore è piuttosto immediata e che l’hanno reso il discusso personaggio che conosciamo.

Durante l’arco della sua vita svolse numerose mansioni, tale esperienza funge da base al romanzo Factotum (1975); il lavoro più lungo e costante fu sicuramente quello all’ufficio postale, dove lavorò ininterrottamente per undici anni, fino al 1969, anno in cui decise di abbandonare il posto per dedicarsi totalmente alla scrittura cominciando a lavorare con la casa editrice Black Sparrow, dando così ufficialmente inizio alla sua carriera. Da tale vicenda scaturisce Post Office (1971).

Altro romanzo noto è sicuramente Donne (1975), nel quale vengono narrate svariate storie sessuali e sentimentali. Seppure è vero che il sesso dissoluto fa da padrone nelle sue opere, non si può negare che i sentimenti non siano assenti, anzi Bukowski non di rado ha scritto frasi di impareggiabile dolcezza e profondità nelle sue diverse tipologie testuali.

L’avventurosa e bizzarra vita di Hank non è carente neanche di un’esperienza cinematografica, nel 1987 infatti esce il film Barfly basato su una sua sceneggiatura, tale lavoro diventerà poi l’oggetto del suo libro Hollywood Hollywood del 1989. L’ultimo dei suoi romanzi, Pulp (1994), è il più atipico: narra le indagini di un improbabile investigatore alle prese con dei casi alquanto bizzarri e surreali.

La parte maggiore della produzione non è quella dei romanzi, bensì quella delle raccolte di racconti brevi e poesie. Appartenente alla prima categoria è Taccuino di un vecchio sporcaccione (1969), che raccoglie gli scritti pubblicati nell’omonima rubrica sul giornale di Los Angeles OPEN CITY, bisogna infatti ricordare che proprio tramite le riviste, soprattutto underground, Bukowski comincia a muovere i primi passi e ad essere pubblicato.

Il suo titolo più famoso di questa tipologia è però indubbiamente Storie di ordinaria follia (1972); altre sillogi di racconti, per citarne solo alcune, sono Compagno di sbronze (1972), A sud di nessun nord (1973), Musica per organi caldi (1983). Un caso a sé stante è Il capitano è fuori a pranzo (1998), una sorta di diario degli ultimi anni precedenti alla sua morte avvenuta nel 1994.

Penna estremamente prolifica, ha anche scritto innumerevoli poesie. Caratteristica di queste è un linguaggio che non rispetta in alcun modo la metrica ma ravvicinabile alla prosa, ma ricche però di ripetizioni e metafore, molto spesso incentrate su una particolare sentenza. Tra i tanti libri che racchiudono tali composizioni ne menzioniamo solo un paio tra più noti: L’amore è un cane che viene dall’inferno (1977), Quando eravamo troppo giovani (1990).

La creatività di Bukowski è stata incontenibile, a tal punto da averci consegnato all’incirca una sessantina di libri. Una Penna sopra le righe da ogni punto di vista, che ci ha insegnato a guardare con cinismo il mondo ma allo stesso tempo a non mollare mai. Perché se siamo qui a ricordarlo dopo cent’anni dalla nascita, in fondo “Bukowski il fallito” ce l’ha fatta. Alziamo i bicchieri verso il cielo e brindiamo al vecchio più sporcaccione del paradiso (o forse dell’inferno?).