VIRITÀ – FEMMINILE SINGOLARE-PLURALE

di Giusy Sciacca

“Virità – femminile singolare-plurale” di Giusy Sciacca
Editore: Kalós Edizioni
Genere: Raccolta di racconti
Pagine: 224
Data di pubblicazione: 26/03/2021

Cari amici è con moltissimo piacere che oggi vi parlerò di un libro rivelazione, uno scritto potente e intenso che attraverso i suoi venti racconti ci porta dentro le vite di donne immense, forti e valorose, donne che sono state bistrattate, derise, umiliate e spesso uccise, donne che non hanno più una voce ma riescono ancora ad urlare fino a noi la loro disperazione e la voglia di contare qualcosa per il mondo, di essere capite e amate per ciò che sono state. “Virità – Femminile singolare-plurale” di Giusy Sciacca è un libro attualissimo che vi conquisterà!
Non perdetevelo!
Buona lettura!!!

a cura di Manuela Morana

Sinossi di VIRITÀ – FEMMINILE SINGOLARE-PLURALE

Qual è la verità? Domanda sbagliata. La verità non è mai solo singolare, ma di certo è femminile. Così le protagoniste di questi venti racconti, stanche di essere spesso dimenticate o travisate, prendono la parola per narrare loro la storia e spiegare al lettore la propria versione dei fatti.
Alcune abitano sull’Isola dai tempi del mito, altre sono partite per poi ritornare, altre ancora sono arrivate in epoche più moderne, fino a giungere agli albori del Novecento. Sono dee, artiste, nobildonne, talvolta sante, ma anche rivoluzionarie, eretiche, scienziate.
In una parola, donne.
E non aspettano altro che essere ascoltate.
Il volume – che è il risultato dell’intreccio di queste singole voci, scelte e filtrate dalla scrittura dell’autrice – diventa così plurale.
Come la parola virità, femminile singolare-plurale.

Recensione

Virità che bella questa parola, verità, che tanto spesso ci riempie le bocche…
Ma cos’è davvero la verità? Se cerchiamo la definizione sul vocabolario della Treccani troviamo più o meno qualcosa di simile: “conformità o coerenza a principî dati o a una realtà obiettiva” ma, beh, permettetemi sinceramente di dire che la verità è molto più di questo e, tra l’altro, non è nemmeno sempre così certa ed univoca.

Foto da internet
Esistono infatti molte verità ed è per questo che l’autrice di questo romanzo pieno di racconti incredibili ci parla di “Virità” come di una parola che può essere singolare o plurale.
Ci spiega con semplicità ed esempi concreti la natura non univoca di questo termine e per farlo decide di dare voce a venti donne che ci daranno la loro versione di quella che resta una parola da analizzare sempre al femminile.

Virità è diviso in cinque sezioni, in ognuna di queste ci sono delle meravigliose donne siciliane che raccontano la loro verità, Giusy Sciacca ha l’enorme merito di aver ridato la voce e molto spesso la dignità a ognuna di esse facendole parlare in prima persona di ciò che provavano e vivevano.

Le sezioni sono: Dee e Sante, Regnanti e Nobildonne, Eretiche e Peccatrici, Innovatrici e Rivoluzionarie e infine Artiste, Letterate e Donne di Scienza. In ognuna di esse, dopo una breve introduzione nella quale ci vengono presentate e si contestualizza la vicenda, parlano quattro donne diverse. La cosa che ho particolarmente apprezzato è che l’autrice ha svolto numerosissime ricerche (e riporta anche le fonti) per far sì che le parole che fa pronunciare a queste stupende protagoniste siano quanto più vere e fedeli possibili al loro vissuto e al loro pensiero, fa proprio in modo che siano “virità”.

Lo stile di Virità è molto particolare perché a tratti si trasforma quasi in un diario al quale le nostre donne affidano i loro più intimi e segreti pensieri. Ci sono donne che hanno avuto vite più o meno belle, donne che si sono viste costrette ad abbandonare la loro terra e altre che invece sono state tradite proprio dalla loro famiglia, ci sono donne che sono morte sole e disperate, donne alle quali sono stati strappati via i figli, donne che hanno visto morire il grande amore della loro vita, donne vendute o scambiate come se fossero oggetti, donne che sono state richiamate a casa dopo anni lontane e altre che hanno visto i loro sogni infrangersi per il semplice fatto di essere nate donne.

Ho deciso di lasciarvi tre brevi estratti da questo libro, sono tre donne che, per motivi diversi, mi hanno colpita e mi fa piacere condividere con voi le emozioni che mi hanno suscitato.

La prima donna sulla quale mi voglio soffermare è Costanza II di Sicilia anche nota come Costanza d’Aragona, lei è costretta ad abbandonare la sua Sicilia, la sua casa, il posto che più ama al mondo e si strugge dandole l’ultimo saluto.
Questo brano ha catturato la mia attenzione perché vivo fuori per motivi di lavoro e da buona siciliana ogni volta che mi stacco dalle coste di casa mia provo lo stesso struggimento che questa donna ci racconta in poche ma intense parole.

Al largo di Palermo, 1297 – Costanza si trova a poppa del vascello regale, che è appena salpato alla volta di Roma. Indossa la corona e la veste del giorno della sua incoronazione a imperatrice. Al vento affida il suo struggente addio alla Sicilia, terra amatissima e a lei fedele.
Lentamente il vascello regale mi trascina via dal nostro paradiso.
[…]
Al mio andare allargo le braccia e tento di contenere tutta la tua meraviglia, Sicilia mia. Le mie lacrime si sciolgono nelle tue acque tiepide e materne, che cullarono civiltà e antiche conoscenze. Deponga il mio pianto fino alle tue rene incantevoli, laggiù, la mia amanza e la mia lealtà. E possano cingere sempre in un abbraccio di pace il tuo prezioso profilo addormentato tra le correnti!
Giungono al tuo orecchio lo strazio del mio cuore e il tumulto delle mie viscere in questo ultimo vespro isolano? Li senti?
[…]
Il tempo della mia autorità qui è ormai trascorso. Resta quello dell’amaro compromesso e della volontà dei miei eredi.
[… ]
Il saluto della regina di Sicilia alla sua Isola è una cerimonia intima e solenne! Sono le tue stesse onde a trattenermi. Contrariate, rallentano la dipartita. Sono uncini che si appigliano al bastimento e graffiano l’anima. Ma quanto è vano il loro proposito dinanzi alla brama di potere!
[… ]
Non v’è altro luogo ove io appartenga.
Sia sempre eterna carezza al mio popolo il mio sguardo tra le due sponde!


La seconda donna della quale vi voglio parlare è un’ebrea, una donna incredibilmente forte e coraggiosa, un medico o come viene chiamata nel libro una “medichessa”, lei è Virdimura de Medico, ha vissuto a Catania alla fine del XIV secolo, e ciò che mi ha colpito è la sua bontà, la sua disponibilità e il non guardare alla fede professata dalle persone che avevano bisogno del suo aiuto o alle loro possibilità economiche.
Virdimura è l’incarnazione della vocazione che dovrebbe animare ogni medico, la voglia di aiutare, salvare e confortare il prossimo dovrebbe essere più forte di qualsiasi altra cosa e lei dimostra di essere un medico incredibilmente umano e capace.

Catania, fine del Trecento – Virdimura rammenta una sua giornata piena di appuntamenti. I primi raggi del sole accarezzavano il mare e svegliavano la città nera. Il torpore della notte svaniva e i catanesi cominciavano ad affaccendarsi nel centro cittadino. La medichessa iniziava la sua giornata di lavoro con un’urgenza.
«Virdimura, medichessa! Mi aiuti, la prego!».
[…]
Angelilla urlava adesso, ma anche questo era un buon segno. Di fronte alla morte l’urlo è vita.
«Farò piano tesoro, cercherò di non farti soffrire più di quanto non sia già nel nostro destino».
[…]
«Come sta, medichessa?», Moyses piangeva con le mani giunte.
«ll peggio è passato Moyses, accudisci tua moglie adesso e alleviale ogni peso».
«Non so come ringraziarla, Virdimura. In questo momento, io…».
«Non preoccuparti, Moyses. Quando Angelilla si sarà ripresa, portatemi il sorriso dei vostri bambini. Sarà sufficiente».
[… ]
In quel momento mi sentii afferrare il braccio, mi voltai. Tra i volti delle persone che mi circondavano trovai due occhi verdi. Era una giovane donna con viso di porcellana incorniciato da capelli scuri legati sulla fronte da una catena dorata a tre maglie.
[…]
La giovane era cristiana e doveva appartenere a una nobile famiglia.
«Medichessa, voi non mi conoscete, ma io conosco voi e so che potete aiutarmi», pronunciò tutto d’un fiato. Il petto ansimava per l’angoscia e gli occhi mi imploravano di ascoltarla.
«Dimmi, cara. Come posso aiutarti?».
«Sono la contessina Aurora e … non sono pura».
«Amare non peccato né per il mio né per il tuo Dio».
[…]
Le accarezzai il viso bagnato di lacrime. Mi pervase un senso materno di tenerezza nei confronti di una rosa appena sbocciata condannata ad appassire nella rassegnazione.
[…]
«Ho sentito parlare di voi, ma io non sono…».
«Ebrea? Sei una donna. È l’unica cosa che conta per me».


La terza donna della quale voglio parlavi è la poetessa Mariannina Coffa in Morana e leggendo il mio cognome è semplice capire perché questa storia mi ha colpita…
Mariannina era innamorata di Ascenso Mauceri, suo insegnante di pianoforte ma la sua famiglia decise di prometterla in sposa a Giorgio Morana, un benestante di Ragusa che non aveva alcuna sensibilità artistica.
La “colpa” di Mariannina fu quella di non opporsi alla sua famiglia e di non battersi per vivere il suo amore con Ascenso, questo purtroppo fu anche il suo più grande rimpianto e solo quando era ormai in età matura decise di abbandonare la casa coniugale. Tuttavia questo abbandono non le fu mai perdonato, fu presa per pazza e ripudiata dalla famiglia al punto che morì sola e i funerali le furono pagati dalla città di Noto che le aveva dato i natali.
Questa storia mi ha messo veramente tanta tristezza perché è la prova di come le donne per lungo tempo venissero “vendute al miglior offerente” senza tenere minimamente conto dei loro sentimenti.
Mi dispiace Mariannina, mi dispiace tanto se ti sei ritrovata incastrata in un matrimonio che non volevi e se ciò ti ha resa triste e disperata, mi spiace per ogni giorno di prigionia che hai vissuto e mi dispiace che la tua famiglia ti abbia lasciata sola durante il tuo ultimo viaggio.
Sappi però che, per fortuna, oggi i tempi sono abbastanza diversi, sono pochissime le donne in Italia costrette a sposarsi dalle famiglie e a rinunciare al loro vero amore e questo forse è anche un po’ merito delle donne come te che, nonostante le conseguenze, hanno avuto il coraggio di andare via…

Noto, il giorno del suo funerale – la Città si veste di nero e saluta per l’ultima volta Mariannina Coffa. Non sono presenti i familiari e i figli. Anche Ascenso è assente.
L’anima della poetessa dalla sua dimensione extracorporea assiste alle proprie esequie. Si abbandona a un delirio lirico in cui i temi della vita, amore e morte si oppongono, si intrecciano nella bolla dell’illusione in maniera inestricabile fino, talvolta, a coincidere del tutto.
Ho scritto molto. E ho amato molto, molto più di quanto io abbia scritto.
[… ]
Alla carta ho affidato me e i miei affanni, che se avessi ritenuto sconvenienti avrei rimesso a Dio per giudicarmi e non certo agli uomini. Ho consegnato ai posteri i miei sogni e le mie disperazioni.
A te poi, Ascenso mio adorato, mio nume evanescente eppure così vero, per lunghi anni ho scritto lettere struggenti con l’inchiostro annacquato dalle lacrime.
Io non voglio pensare che le mie carte possano sfiorire al vento come i giorni della mia vita infelice!
[…]
Di quali colpe indicibili mi ero macchiata, se non quella di disporre per me stessa e la mia salvezza?
Rido quasi, adesso. Come se non avessi dato abbastanza a parlare in vita. Forse anche troppo poco.
Non mi è stato concesso, perché la nostra legge è crudele, ma io volevo libertà, divisione assoluta, io volevo svincolarmi assolutamente dalla famiglia Morana, perché i nodi che non sono benedetti da Dio e dall’amore non possono durare!
Di tutto avrei fatto, pur di liberarmi di quell’uomo e di tutta la sua stirpe.
Mi resta l’amaro in bocca di una felicità sfiorata e poi negata per sempre.
Io non so se la realizzazione dei sogni romantici che mi consumarono sarebbe stata per me una salvezza. O se questo senso di infelicità e insoddisfazione permanente mi avrebbe comunque perseguitata, una volta compreso che persino Noto e Ascenso non erano altro che l’illusione di un Altrove inafferrabile.


Alcuni di questi racconti vi faranno arrabbiare, sentire impotenti e frustrati, a volte avrete voglia di proteggere quelle donne, altre proverete un’immensa stima e un sincero affetto ma vi assicuro che nessuna di loro vi lascerà indifferente.
Questo è un libro che tutti dovrebbero leggere.
Dovrebbero leggerlo gli uomini per capire ancora una volta il valore delle donne e per sentire il loro punto di vista e provare a immedesimarsi un attimo in quello che queste donne hanno vissuto.
Ma soprattutto dovrebbero leggerlo le donne, particolarmente quelle che non sono felici, quelle che si “accontentano”, quelle che vengono picchiate e trattate male perché Virità è capace di svegliare le coscienze e far prendere consapevolezza di se stesse e del potere che tutte le donne abbiamo dentro di noi e di quanto è importante trovare il coraggio per farlo uscire ed andarsene da quelle situazioni che sono una vera e proprio prigione per l’anima e il corpo.
La vita è una, il tempo che abbiamo a disposizione è limitato e non è giusto sprecarlo con chi ci fa stare male, chi ci fa soffrire non ci ama e troppo spesso leggiamo nei giornali i tragici epiloghi di queste storie per questo dobbiamo restare unite e fare rete tra noi aiutandoci l’un l’altra a venire fuori da queste storie malate.

Devo confessarvi che per me è stato un piacere immenso conoscere queste incredibili donne mie conterranee, queste donne con dentro la lava dell’Etna e il cuore immenso come il mare, donne fatte di forza, di dolore, di sogni, di aspirazioni e soprattutto donne piene d’amore e l’augurio che posso fare a tutte è di avere sempre il coraggio di scegliere di essere felici!!!

Buona lettura!

Il nostro giudizio:


TramaVoto 5


StileVoto 5


PiacevolezzaVoto 5


CopertinaVoto 4


Voto finaleVoto 4,5



Giusy Sciacca autrice di Virità

Giusy Sciacca, nata a Lentini, vive tra Roma e Siracusa. È controllora del traffico aereo, autrice di racconti, romanzi e testi teatrali. Scrive per diverse testate giornalistiche e inoltre è ideatrice e curatrice del Premio Nazionale di Poesia Sonetto d’Argento Jacopo da Lentini.
Si ringrazia la casa editrice per averci cortesemente fornito il materiale.