LE POESIE DELLE DONNE

di Dacia Maraini

Le poesie delle donne

a cura di Rosa Zenone

Bentrovati amici lettori con il nostro nuovo appuntamento poetico nella nostra rubrica Poesia Eco dell’Anima. Ospite di oggi sarà l’autrice a cui abbiamo dedicato la scheda nelle Penne D’Autore, Dacia Maraini, penna prolifica conosciuta principalmente per la prosa ma che annovera in realtà nella sua vasta produzione anche numerose poesie, eccoci dunque oggi ad approfondire questo aspetto meno noto con Le poesie delle donne tratta dalla raccolta Donne Mie del 1974.

Le poesie delle donne

Le poesie delle donne sono spesso
piatte, ingenue, realistiche e ossessive”,
mi dice un critico gentile dagli occhi a palla.
“Mancano di leggerezza, di fumo, di vanità,
sono tutte d’un pezzo come dei tubi,
non c’è garbo, scioltezza, estro;
sono prive dell’intelligenza maliziosa
dell’artificio, insomma non raggiungono
quell’aria da pomeriggio limpido dopo la pioggia.”


Forse è vero, gli dico. Ma tu non sai
cosa vuol dire essere donna. Dovresti
provare una volta per piacere anche se
è proibito dal tuo sesso di pane e ferro.
Ride, strabuzza gli occhi. “A me non importa
se sia donna o meno. Voglio vedere i risultati
poetici. C’è chi riesce a fare la ciambella
con il buco. Se è donna o uomo cosa cambia?”


Cambia, amico dagli occhi verdi, cambia;
perché una donna non può fare finta
di non essere donna. Ed essere donna
significa conoscere la propria soggezione,
significa vivere e respirare la degradazione
e il disprezzo di sé che si può superare
solo con fatiche dolorose e lagrime nere.


È per questo che tante si rifugiano
nella passività, nell’ordine costituito,
perché hanno paura di quella fatica e
di quelle lagrime che sono necessarie per
riscattare la propria umanità perduta
come un dente di latte, chissà quando,
nel processo sibillino della crescita sociale.


Una mattina un padre generoso ha
legato il tuo dente al pomello della porta
che poi ha spalancato con un calcio e
addio dente di miele che ti faceva bambina
e ancora inconsapevole del ruolo pacato
e gelido che ti aspetta ora come un
cappotto fiorato appeso nell’ingresso e
se vai fuori devi indossarlo se no
rischi di morire assiderata e pesta.


Una donna che scrive poesie e sa di
essere donna, non può che tenersi attaccata
stretta ai contenuti perché la sofisticazione
delle forme è una cosa che riguarda il potere
e il potere che ha la donna è sempre un
non-potere, una eredità scottante e mai del tutto sua.


La sua voce sarà forse dura e terragna
ma è la voce di una leonessa che è stata
tenuta pecora per troppo tempo assennato.
È una voce fiacca, grezza e mutilata
che viene da lontano, da fuori della
storia, dall’inferno degli sfruttati.
Un inferno che non migliora la gente
come si crede, ma la rende pigra,
malata e nemica di se stessa


Commento

Il componimento è metapoetico poiché è una poesia che ha come argomento la poesia, ma non una qualunque ma quella prettamente elaborata dalle donne. Attraverso un andamento prosastico e che non segue le consuete regole di metrica, la Maraini sviluppa tale tematica, confermando ancora una volta il proprio impegno femminista ampiamente sviluppato anche nella narrativa, nella saggistica e nel teatro.

L’occasione da cui scaturiscono i versi è un’ipotetica conversazione con un critico letterario, il quale pronuncia dei giudizi sfavorevoli inerenti le poesie delle donne, ritenendole prive di artificio. Da qui parte la replica della scrittrice, che continua divenendo tanto più veemente dinanzi all’indistinzione che il critico pone dinanzi agli scritti maschili e femminili. La Maraini ammette l’esistenza di un tipo di scrittura chiaramente femminile che inevitabilmente risente della storia alle spalle del proprio sesso, non comprensibile al sesso di pane e ferro: il sesso maschile reso tramite una metonimia che ne rende la durezza ricollegandolo ad aspetti estremamente materiali, il lavoro e la guerra.

Mentre una donna non può dimenticare la soggezione del posto assegnatogli dalla società se non tramite fatiche dolorose e lagrime nere, l’attributo delle lacrime rende ancor più l’idea di quanto sia lacerante il percorso della riappropriazione di sé. A tal punto difficoltoso da spingere molte ad accettare la subordinazione e il disprezzo imposti dalla società rendendoli propri, appartenenti al proprio essere.

L’ordine patriarcale ha negato alle donne la propria soggettività, una tappa che diviene obbligatoria nella società per ogni bambina che si appresta a diventare donna. Un pensiero che l’autrice esprime attraverso un’immagine metaforica vivida e di forte impatto: un dente da latte che viene legato a un pomello di una porta spalancata dal padre. Da qui ne scaturisce la violenza dell’atto, tanto più che il padre che sottrae alla figlia la propria umana individualità appare agli occhi della stessa generoso, dunque degno di una fiducia in realtà tradita. Dopo tale atto alla bambina non spetta che rivestire il ruolo che il patriarcato le ha designato, indicato da un metaforico cappotto che l’attende per evitare che soccomba nel mondo esterno violandone le regole.

A questo punto il componimento riprende la critica iniziale di mancanza di artificio nelle poesie femminili, spiegando quello come artefatto tipico del potere, quello stesso potere che risiede unicamente nelle mani maschili. È questa una strofa vibrante, il cui effetto è amplificato dalla lunga successioni di allitterazioni delle consonanti s e t. Inevitabilmente la poetica femminile dunque è maggiormente legata ai contenuti, poiché rinviene nella scrittura uno spazio per dar voce alla propria espressione troppo a lungo messa a tacere. Una voce che risente della propria marginalità e che deve in primis combattere contro se stessa per poterne emergere, rappresentata metaforicamente come quella di una leonessa che per troppo tempo è stata trattata al pari di una pecora addomesticata e tenuta a bada. Ad ampliare tale descrizione si aggiunge una lunga enumerazione di aggettivi e di altri elementi che vanno ad arricchirne il senso e a infondere una forte suggestione.

Le poesie delle donne sottolinea dal principio come la scrittura femminile molto spesso venga degradata e sia influenzata nel giudizio da preconcetti, una situazione che fa sì che le autrici non vengano approfondite ma piuttosto surclassate dai colleghi uomini; è innegabile d’altronde che il numero di nomi maschili che compaiono nel nostro canone letterario sia ampiamente più vasto di quello femminile, e non certo per mancanza di merito da parte di quest’ultime! Nel componimento rinveniamo anche la concezione di scrittura femminile, e dunque propria, che ha la Maraini, una scrittura che si differenzia da quella maschile poiché fortemente influenzata dal proprio sesso e dalla posizione che la società gli ha destinato. Secondo l’autrice infatti si scrive con il corpo e le sensazioni di questo non possono non essere memori delle proprie vicende.

Possiamo dunque considerare la poesia un manifesto programmatico della Maraini, ma anche un testo che rende note le tematiche care all’autrice, non possiamo a tal proposito non citare e non consigliarvi testi narrativi come La lunga vita di Marianna Ucrìa personaggio dalla voce mutilata per eccellenza, o Corpo felice, storie di donne, rivoluzione e un figlio che ne va, un testo ricco di riflessioni inerenti il ruolo e il corpo della donna nella società odierna, di cui presto potrete trovare la recensione sul nostro blog.

Dopo questa breve parentesi “onnivora” vi salutiamo e vi diamo appuntamento alla prossima poesia della nostra rubrica.

Dacia Maraini

Dacia Maraini

Dacia Maraini è autrice di numerosi romanzi, di testi teatrali e di poesie. Ella nasce a Fiesole nel 1936. Ha passato parte della sua infanzia in Giappone, dove ha subito la traumatica esperienza dell’internamento in un campo di concentramento assieme alla propria famiglia. Rientrata in Italia ha vissuto prima a Bagheria in Sicilia e poi a Roma, città nella quale ha conosciuto Alberto Moravia, di cui è stata la compagna. Dei suoi libri, ricordiamo oltre Donne mie (1974), La vacanza (1962), L’età del Malessere (1963), Memorie di una ladra (1972), La lunga vita di Marianna Ucría (1990), Bagheria (1993),  Donna in guerra (1980), Tre Donne (2017) e Corpo felice. Storia di donne, rivoluzioni e un figlio che se ne va (2018).